Per carità, gran cosa la riforma del processo penale approvata ieri dal Senato. «È una delle condizioni per accedere ai fondi del Recovery Plan», dicono molti. «Chiude l’epoca del processo eterno», aggiungono  altri. Il testo ispirato dalla guardasigilli Marta Cartabia impone un passo indietro a quella sub-cultura giustizialista che ancora infesta tribunali e mass media. Ma basterà la norma sull’improcedibilità, che dal 2024 fissa a tre anni la durata massima dei processi in appello e a un anno e mezzo quella dei processi in Cassazione, a sciogliere i nodi che paralizzano le aule di Napoli e dintorni? La nuova durata delle indagini preliminari e il rinvio a giudizio ammesso soltanto in caso di condanna prevedibile renderanno la giustizia più efficiente anche in Campania? No, secondo molti addetti ai lavori, a meno che la nuova legge non sia accompagnata da altre misure come amnistia, indulto, depenalizzazione e una revisione delle risorse a disposizione degli uffici.

Ne è convinto Giuseppe De Carolis. Per il presidente della Corte d’appello partenopea sarà difficile rispettare i tempi dettati dalla riforma Cartabia senza correggere le sproporzioni nell’allocazione del personale. Qualche numero per capirci: nel distretto di Corte d’appello di Napoli sono in servizio più di 200 pm e circa 240 giudici penali, ma i magistrati in appello superano a stento le 40 unità. In queste condizioni, concludere i processi in tre anni è piuttosto complicato, soprattutto se si pensa che questo periodo si calcola a partire dalla data di scadenza del termine di deposito della sentenza di primo grado: un’operazione che spesso richiede settimane, se non mesi. Il problema riguarda anche cancellieri e dipendenti amministrativi.

A Benevento, per esempio, ci sono quattro amministrativi per giudice, a Napoli Nord solo uno e mezzo e in Corte d’appello il rapporto è uno a uno. E non basta l’accelerazione sull’Ufficio del processo annunciata da Cartabia. Al distretto di Napoli sono destinati 956 nuovi collaboratori dei giudici, ma difficilmente in Corte d’appello ne andranno più di 300. Gli altri 600 saranno distribuiti nei tribunali del distretto, con la conseguenza che il gap di risorse tra primo e secondo grado di giudizio aumenterà. E, di questo passo, ridurre le oltre 57mila pendenze, che si registrano oggi in Corte d’appello, e accorciare i tempi di definizione dei processi, che in secondo grado superano i quattro anni, sarà impresa ardua. «Per fare i processi servono giudici e cancellieri – spiega De Carolis – La giustizia è lenta perché i processi sono troppi. E una giustizia lenta rischia di essere anche frettolosa, se non sommaria. Se si vuole evitare che, per rispettare i tempi dettati dalla legge, i giudici decidano senza leggere le carte, bisogna sciogliere il nodo del personale degli uffici».

Ma che cosa ne pensano gli avvocati? Per chi è ogni giorno in prima linea in difesa dei diritti, la riforma Cartabia non può che essere un segnale positivo. «Almeno perché segna un’inversione di tendenza rispetto al processo senza fine introdotto con la riforma Bonafede», sottolinea Marco Campora. Il presidente dei penalisti napoletani giudica positivamente i nuovi termini di durata delle indagini preliminari e dei processi, senza dimenticare la norma che, in caso di stasi del fascicolo, consente al gip di sollecitare le conclusioni del pm. Le perplessità, però, non mancano: «Senza amnistia, indulto e una massiccia depenalizzazione – aggiunge Campora – la Corte d’appello di Napoli non riuscirà a smaltire il mostruoso carico di lavoro legato all’abnorme numero di reati che ingolfano le nostre aule».

Anche il garante campano dei detenuti ha qualche motivo per esultare. L’estensione dell’ambito applicativo della messa alla prova e il più ampio ricorso alle misure alternative – entrambi contenuti nella riforma Cartabia – non possono non essere apprezzati da Samuele Ciambriello. «La ministra sta dando ascolto alle osservazioni dei garanti e dei giudici di sorveglianza e si sta impegnando per affermare un principio di fondamentale importanza: chi ha sbagliato deve cambiare, non pagare». In una regione dove al 31 agosto scorso si contavano ben 6.432 reclusi a fronte di 6.108 posti in cella disponibili, però, serve uno sforzo ulteriore. Amnistia? Certo. Indulto? Anche. Ma Ciambriello invoca pure un “ristoro” per i detenuti che, nell’ultimo anno e mezzo, hanno dovuto fare i conti col Covid: «Si potrebbero aumentare da 45 a 70 i giorni di liberazione anticipata per ogni semestre di pena scontata oppure consentire a chi è in procinto di abbandonare il carcere di scontare a casa gli ultimi mesi di pena. È questione di umanità, prima ancora che di giustizia».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.