I nodi della riforma Cartabia
Riforma Cartabia, i silenzi su organico e standard di rendimento dei giudici
Agli accesi confronti sulla giustizia penale che hanno animato le ultime settimane, accompagnando il testo della riforma voluta dal Governo all’esame del Senato, non seguiranno dibattiti dall’afflato analogo per la giustizia civile. Mi auguro di essere smentito, ma temo che la cosa resterà molto più nelle retrovie degli addetti ai lavori, quando invece essa dovrebbe essere oggetto di un dibattito vasto e democratico dell’intera società civile. Per almeno due ragioni: perché le controversie non di natura penale riguardano da vicino le persone e la loro quotidianità ordinaria; perché sulla riduzione dei tempi del processo civile si gioca l’accesso a importanti risorse finanziarie.
Nella relazione illustrativa redatta dalla Commissione presieduta dal professore Francesco Paolo Luiso e diretta alla ministra della Giustizia Marta Cartabia, si pone l’attenzione su tre pilastri essenziali: l’incentivazione dei meccanismi di soluzione delle liti alternativi al processo statuale; la previsione di una disciplina organica dell’ufficio per il processo; la riduzione dei tempi della giustizia civile attraverso l’introduzione di modifiche processuali. Mi soffermerò su quest’ultimo aspetto, lasciando ad altri il compito di approfondire gli altri due. Una premessa ironica sarà utile: sono in magistratura dal 2004 e già dopo pochi anni di funzione ho imparato a riconoscere, nei colleghi, negli amici accademici e negli avvocati, uno sguardo perso tra terrore, angoscia e sarcasmo ogni volta che il legislatore introduceva l’ennesimo ritocco alle regole processuali con la motivazione di accelerare i tempi del processo civile. Sguardo puntualmente riprodottosi anche in occasione dei Governi succeditisi dal 2018 a oggi, forse uno sguardo vieppiù disperato a causa del piglio teutonico della ministra di Giustizia della quale, a termine del mandato, potrà forse dirsi «volle, volle, fortissimamente volle».
Ebbene, cosa prevede la riforma del rito civile di primo grado? Essa, per un verso, intende disciplinare e ampliare le ipotesi di rito “semplificato” (per le cause di agevole soluzione) e, per altro verso, vuole rendere più efficace la prima udienza davanti al giudice. Trascrivo il passaggio della relazione illustrativa, laddove si dice che, in virtù delle nuove regole, «il giudice è quindi in grado, in prima udienza, di disporre di una gamma di soluzioni diversificate, al fine della più efficace trattazione della lite: avviare subito la causa in decisione, convertire la trattazione nel rito semplificato, concedere i termini per le memorie o dimezzarli (oltre che formulare una proposta conciliativa o mandare le parti in mediazione)». Poco più oltre, la medesima relazione puntualizza: «Avviare subito la causa in decisione permette una riduzione dei tempi di giudizio che può essere stimata mediamente fino a trecento giorni. La facoltà di ridurre i termini per le memorie dimezzando quelli attuali, a sua volta, comporta automaticamente un risparmio fino a quaranta giorni».
Nel trascrivere questi passaggi, chiari e condivisibili, ho tralasciato un passaggio che è una miniera d’oro, una subordinata inserita dall’attento redattore del documento subito dopo l’avvio del periodo che inizia con «Il giudice…» e che ho sopra riportato. Il giudice potrà sì fare tutte quelle cose, dirigendo con efficacia il processo, ma tanto accadrà (udite, udite) «a condizione che abbia potuto studiare adeguatamente il fascicolo (ma ciò non dipende dalle regole processuali)». Qui vengono dette due verità risplendenti sul Sinai della giustizia civile: i tempi si abbreviano se il giudice civile detiene fermamente il polso del ruolo di udienza e, quindi, conosce le cause che tratterà; questa conoscenza non deriva dalle regole processuali, che potranno cambiare ogni giorno senza che quella conoscenza si produca o rafforzi. Di qui la domanda: se non dipende dalle regole processuali, da cosa dipende? Di qui un altro, forse malizioso, interrogativo: perché sbandierare la modifica delle regole processuali come viatico di velocizzazione dei processi?
Ora, il giudice non ha «studiato adeguatamente il fascicolo» o perché non lavora oppure perché non riesce, a causa del numero dei fascicoli. Se i fascicoli chiamati in prima udienza sono tre è un conto, se sono 12 è un altro. Chiedetelo a un giudice civile di Nola, Santa Maria Capua Vetere, Napoli Nord. Il fulcro, allora, è la sostenibilità della domanda di giustizia rispetto all’aspettativa ragionevole di smaltimento del carico di lavoro del giudice civile italiano. Insomma, è il tema dello standard di rendimento del magistrato, unito a quello della revisione delle piante organiche dei Tribunali italiani. Due temi affondati nel silenzio più compatto: eppure sono cose semplici da spiegare ai cittadini, cose su cui sarebbe interessante un dibattito, magari accanto a quello sui quesiti referendari. Gli interrogati? ministra, Csm e Anm, tra i primi. Restiamo in attesa di chi vorrà scalfire questo fitto silenzio a beneficio dei cittadini, dell’avvocatura e della magistratura.
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