La diplomazia ha tempi lunghi e si misura con piccoli e costanti indizi. Mario Draghi ha iniziato il suo Grand Tour internazionale l’8 giugno a cena all’Eliseo con Emmanuel Macron. Un lungo faccia a faccia senza testimoni che due settimane e mezzo dopo, dopo una visita in Israele e Palestina, un Consiglio Europeo e il G7 in Baviera, comincia a raccontare un successo diplomatico. In questi venti giorni Draghi ha “suggerito” l’agenda ai leader europei e poi ai grandi della terra. Il che non vuol dire aver raggiunto gli obiettivi prefissati ma sicuramente averli imposti in questi importanti tavoli internazionali. L’unità e la compattezza dell’Occidente, prima di tutto.

La discussione sul tetto al prezzo del gas e anche del petrolio, due dossier che solo all’inizio di giugno sono entrati nelle trattative delle varie delegazioni sebbene palazzo Chigi ne parli da gennaio, prima ancora che Putin invadesse l’Ucraina. E poi armi e sanzioni “necessarie e fondamentali per costringere la Russia alla pace”. Infine, sostegno all’Ucraina fino a quando sarà necessario. Draghi è arrivato ieri in conferenza stampa al castello di Elmau in Baviera al termine di un summit che ha definito “un successo” per la “piena coesione e unità” dimostrata dai leader. Al centro dei lavori degli ultimi tre giorni c’è stato, naturalmente, il conflitto, con la “preoccupazione” per l’avanzata dell’esercito russo e i bombardamenti delle ultime ore su Kiev”. Guarda caso, proprio mentre il G7 iniziava i lavori nel castello sulle Alpi Bavaresi. Quella decisa, meglio dire confermata, è una strategia con due pilastri. Il primo è il “pieno sostegno” anche per quanto riguarda le forniture militari. “Non c’è pace se l’Ucraina non riesce a difendersi” e il G7 “è disposto a sostenere Kiev per tutto il tempo necessario”, ha detto Draghi. Il secondo pilastro è quello delle sanzioni, che sono “essenziali per portare la Russia al tavolo dei negoziati” per una pace che “dovrà essere quella che vorrà l’Ucraina”.

Nel nuovo pacchetto di sanzioni in esame è entrato l’embargo, anche se non per tutti immediato, sulle importazioni all’oro russo. E l’imposizione di un tetto al prezzo del petrolio russo (e forse anche del gas). Nella dichiarazione finale si legge della volontà di imporre a Mosca “costi severi e duraturi”. Sul fronte dell’energia nella dichiarazione finale si legge che i paesi “esploreranno misure aggiuntive, come tetti al prezzo” dei combustibili fossili, senza specificare quali. Mentre sul petrolio il piano operativo dovrebbe essere pronto entro un paio di settimane, per un price cap sul gas la strada è più tortuosa. L’Europa è divisa. Ancora una volta il padrone di casa il cancelliere Scholz non si è sbilanciato. Comunque, i ministri dei Paesi membri, secondo l’intesa raggiunta, si metteranno al lavoro per studiare la fattibilità delle due misure, mentre la Commissione Ue si è detta disponibile ad “accelerare” il suo lavoro per il price cap sul gas. Al momento è previsto in agenda al Consiglio Ue in ottobre. Se la decisione di Bruxelles, invece, dovesse arrivare prima “siamo ovviamente contenti. L’importante è che questa decisione abbia una base solida, su cui ci si possa scambiare considerazioni razionali e non solo psicologiche” ha sottolineato il premier con una frecciatina i paesi “frugali” che si oppongono al tetto.

Mettere un prezzo politico, collettivo, al prezzo del gas ha almeno tre risultati: impoverisce la Russia perché paghiamo tutti meno il gas russo e quindi Mosca guadagna meno; risolve una buona parte dell’inflazione che è dovuta per lo più all’aumento delle materia prime; leva pressione economica a famiglie ed imprese e leva acqua al populismo che, ha avvertito Draghi, “è ben lontano dall’essere sconfitto e anzi ingrassa nelle difficoltà che ogni giorno famiglie ed imprese incontrano nel pagare bollette, utenze e carburante”. Così, in un summit prettamente tecnico, ha trovato spazio la politica. Le buone notizie arrivano dal fronte del grano. Anche qui sono piccoli segnali e tanta diplomazia. Comunque lo sblocco del grano fermo nei porti ucraini, alla base di una crisi alimentare globale, sembra più vicino. Lunedì il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha fatto il punto con i leader mostrando un cauto ottimismo. La bella notizia è che non sarà necessario sminare i porti perchè è stato verificato che esistono “corridoi sicuri”. Non solo: la Russia avrebbe accettato l’intervento internazionale (con Onu e Turchia in prima fila) per garantire l’operazione. “Guteress ci ha detto che manca solo il sì finale del Cremlino. Stiamo tutti aspettando questo. Possiamo sperare ma non essere troppo ottimisti”. Anche la battaglia per il grano è stata una priorità per Draghi fin dal viaggio negli Stati Uniti.

Da Elmau a Madrid per il vertice Nato che dovrebbe portare all’allargamento a Finlandia e Svezia dopo settant’anni di neutralità. Come una conseguenza logica degli impegni assunti prima al Consiglio europeo e poi al G7, il vertice deciderà nuovi invii di armi a Kiev. Zelensky ci conta molto. Gli Usa dovrebbe inviare missili terra-aria contro gli attacchi aerei. Anche l’Italia deciderà a breve un quarto invio di armi e munizioni. Il cessate il fuoco appare lontano ma le diplomazie sono “pronte a cogliere gli spazi negoziali qualora si dovessero presentarsi”. “Ci troviamo con una Ue più unita, una Nato più unita e più grande, tutti i Paesi limitrofi della Russia che cercano protezione, le cose non sono andate come voleva Putin” ha sottolineato Draghi. Che ha – involontariamente? – ingaggiato un siparietto a distanza con il Cremlino. Il premier italiano infatti ha assicurato che Putin non sarà presente al G20 in Indonesia. Il Cremlino ha risposto piccato: “Draghi si è forse scordato di non essere più alla guida del G20…”

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.