La giornata di oggi in Russia, assai convulsa, si chiude con un grande punto interrogativo: che cosa è davvero successo oggi, in questa guerra civile annunciata, combattuta e risolta in circa 24 ore?

Vediamo i fatti. La giornata si era aperta con immagini solo qualche giorno fa inimmaginabili a un migliaio di chilometri a sud della Capitale. La città coinvolta non è una qualunque: è Rostov sul Don, una città di un milione di abitanti, sede di alcune importanti industrie ma soprattutto snodo militare e logistico per la Crimea, il Donbass e le operazioni in Ucraina. Si trova in cima al mar d’Azov, a 180 chilometri da Mariupol. Le prime agenzie italiane iniziano a parlare di Rostov verso le ore 23 di venerdì notte, quando trapela le forze dell’ordine ed i servizi segreti dell’FSB della città sono in allerta l’appello del capo della Wagner, Evgheni Prigozhin, ai suoi mercenari a “fermare” i vertici della Difesa, accusati di “genocidio del popolo russo” per la loro incompetenza sul campo in Ucraina: è la BBC Russia a rivelare la notizia. Da lì in poi gli eventi precipitano: nel cuore della notte gli uomini della Wagner entrano in città, abbattono un elicottero russo e si scontrano con l’esercito. Sono le 6.30 ora italiane (7.30 in Russia) quando è Prigozhin stesso ad annunciare di aver preso il controllo del quartier generale dell’esercito, centro chiave per l’assoluto russo all’Ucraina e di altri siti militare, compreso un aeroporto.

Il panico si inizia a diffondere al Cremlino e tra la popolazione russa (almeno quella che riesce ad informarsi da fonti indipendenti), mentre in Occidente (e più ancora in Ucraina) si diffonde un moto di speranza per questa lotta interna ai vertici militari russi dagli esiti assolutamente imprevedibili, ma che potenzialmente rappresenta quella discontinuità che in tanti attendevano da mesi, se non dal 24 febbraio 2022, data di inizio dell'”operazione speciale” di Putin in Russia.

Alle 9.30 arriva la risposta del Cremlino. Netta, durissima, che non lascia presagire a spiragli: “Come presidente della Russia, Comandante supremo delle forze armate e cittadino della Russia, farò di tutto per fermare l’insurrezione”, dichiara Putin. Ed ancora, con parole che al momento fanno quasi sorridere, visto l’esito farsa della vicenda: “Chi ha organizzato l’insurrezione armata risponderà di quanto fatto”. Poco dopo la risposta di PrigozhinLukashenko, che respinge al mittente le accuse di tradimento e che risulta assai minacciosa: “Vogliamo Gerasimov e Shoigu. Finché non saranno qui, resteremo, bloccheremo Rostov e ci dirigeremo verso Mosca”. Il riferimento chiaro è al Capo di stato maggiore generale delle Forze armate russe e al ministro della difesa, considerati da Prigozhin i veri responsabili del “disastro Ucraina”. Per ottenere questo risultato (teniamo a mente i due nomi, perché li troveremo presto in fondo al racconto), Prigozhin manda a Mosca un messaggio chiaro: “Tutti noi siamo pronti a morire. Tutti e 25 mila, e poi altri 25 mila”.

E’ l’ora di pranzo quando si inizia a capire che la situazione si sta evolvendo. Iniziano infatti a circolare le prime informazioni e le prime immagine di colonne di mezzi della Wagner dirigersi verso nord. Il primo obiettivo è Voronezh, una città di un milione di abitanti a 560 chilometri da Rostov ma, udite udite, ad altrettanti 500 e rotti chilometri da Mosca: ad unire Voronezh con la capitale è l’M-4, una autostrada moderna, che inizia ad essere essa stessa oggetto di attenzioni dai media di tutto il mondo. Mentre infatti a Voronezh arriva la notizia che un deposito di carburanti, probabilmente sede logistica della Wagner, è stato bombardato, iniziano a circolare video di trincee che vengono improvvisate alla periferia di Mosca e di colonne di camion piazzati lungo l’autostrada per rallentare l’eventuale avanzata della Wagner: ciò che sembrava impossibile solo 12 ore prima ora inizia a prendere corpo ed a diventare una speranza per l’Occidente ed un incubo per il Cremlino.

Sono le 17 e le agenzie iniziano a battere notizie che danno gli uomini della Wagner prima a 300, poi sempre più vicini alla Capitale. Poi arriva la notizia che ribalta completamente la situazione. Prima una dichiarazione del governo bielorusso, poi la Tass iniziano a parlare di un accordo tra Cremlino e Prigozhin. Passano una quindicina di minuti, con le redazioni di tutto il mondo alla ricerca di una conferma un po’ più autorevole, ed alle 19.28, tramite uno dei tanti canali Telegram vicini alla Wagner in cui scorrono continue queste informazioni, arriva la notizia definitiva: c’è un accordo, Prigozhin ha ottenuto (forse) ciò che voleva, per evitare che si sparga “sangue russo” le sue truppe fanno marcia indietro: “Rendendoci conto della responsabilità per il fatto che verrebbe versato sangue russo, stiamo girando le nostre colonne e tornando indietro”, dichiara.

E’ la notizia che cambia completamente il quadro della giornata e che rende tutta questa vicenda anche un po’ farsesca: sembrava essere un colpo di stato, si parlava di cittadini che andavano a salutare gli uomini della Wagner manco fossero dei liberatori, ed invece era “semplicemente” un regolamento  di conti all’interno delle più alti gerarchie militari russe, pesantissimo ma risolto assai velocemente. In 24 ore circa, pare grazie alla mediazione del dittatore bielorusso Lukashenko.

I termini dell’accordo, almeno quelli che trapelano al momento, sono di amnistia totale per i soldati della Wagner che hanno partecipato al finto colpo di stato di oggi e per lo stesso Prigozhin, che non sarà processato per tradimento ma che andrà in Bielorussia. Fonti della Wagner dicono che Prigozhin abbia ottenuto il cambio ai vertici militari (quindi gli odiatissimi Gerasimov e Shoigu fuori), il Cremlino nega. Ma, come spesso accade nelle vicende di politica internazionale, cosa c’è di vero e cosa di falso lo scopriremo nelle prossime settimane.

Una cosa è certa. Queste 24 ore russe hanno dimostrato in tutta la loro nettezza che la poltrona di Putin è assai vacillante, in un quadro istituzionale altrettanto desolante, in uno Stato colabrodo, dove un generale di un esercito paramilitare è riuscito a creare la più grave crisi politica degli ultimi tre decenni. Il presidente russo ne esce oggettivamente indebolito, dal momento che queste 24 ore hanno dimostrato che può essere minacciato e ricattato senza grosse ripercussioni. E ne esce certamente indebolito anche e soprattutto di fronte alla popolazione russa, che – nonostante i filtri della pesantissima censura sui mezzi di informazione – comunque oggi ha assistito alla scena di una Capitale che si organizzava per resistere agli uomini della Wagner, mentre le autorità locali erano costrette ad annullare tutti gli eventi pubblici, a sgombrare musei e centri commerciali ed ad organizzare la resistenza militare.

Cosa esce invece lievemente rafforzata oggi? La speranza di pace per l’Ucraina. Non è solo ciò che tutti noi ci auguriamo, ma è un altro dato oggettivo di questa giornata convulsa.

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva