La famiglia che ha ritirato per Sara la sua pergamena di specializzazione
Sara Pedri: “Ho perdonato il muro di gomma. Mia sorella voleva proteggere gli altri”
Il corpo di Sara Pedri, la ginecologa 31enne di Forlì scomparsa nel nulla il 4 marzo 2021, non è mai più stato trovato. Il 18 ottobre sono state sospese le massicce ricerche ma le indagini continuano sul clima vessatorio che il giovane medico avrebbe subito in reparto dell’ospedale Santa Chiara di Trento, dove lavorava, che la famiglia ha denunciato. Da quel momento molti medici, colleghi di Sara, hanno denunciato maltrattamenti e un clima insopportabile sul posto di lavoro. E sono proprio loro, i colleghi e amici di Sara, che hanno voluto ricordare con affetto la ginecologa scomparsa da Cles, Trento, e mai più tornata. Lo hanno fatto con un video in cui hanno raccolto le foto dei momenti belli vissuti insieme al lavoro e fuori. E lo hanno consegnato alla famiglia che ha ritirato per Sara la sua pergamena di specializzazione il 9 Novembre 2022 a Catanzaro all’ospedale Pugliese-Ciaccio.
“Tanta è stata l’emozione della mia famiglia e tanto l’orgoglio per la loro figlia – ha scritto la sorella, Emanuela Pedri, su Facebook, postando le foto e il video dell’incontro – La commozione è stata reciproca nel ricordare Sara mentre lavorava nei corridoi di quell’ospedale in cui ha trascorso gli ultimi 5 anni. Ognuno l’ha ricordata a modo suo, descrivendola nel suo modo di parlare, di camminare, di dire la sua, di ridere di essere Sara persona e professionista. Sara è rimasta e vive nel loro cuore per sempre ed è proprio questo che la mia famiglia si è portata a casa, l’amore di queste persone per la nostra piccola e grande Sara. Abbiamo voluto portare a Sara nell’aiuola a lei dedicata, il meraviglioso mazzo di fiori, omaggiato dall’ospedale e il diploma di specializzazione che Sara non ha potuto ritirare”.
Emanuela in un’intervista al Corriere della Sera, ha raccontato l’emozione di vedere quelle immagini e di conoscere i volti di quelle persone che per sua sorella erano “una vera e propria famiglia”. Il video è diviso in due parti: quella dentro l’ospedale e quella fuori. “A noi ha colpito molto questa precisione – ha detto Emanuela – lavoro e vita fuori dal lavoro. È stata una premura da parte di chi ha dedicato a Sara questo pensiero. Immagini veritiere che restituiscono un ritratto fedele del vissuto di mia sorella. Catanzaro e Trento: la luce prima, il buio poi. Come se fossero due destini diversi che la vita le aveva mostrato”.
La sorella di Sara ringrazia le tantissime persone che gli sono state vicino in questi anni di dolore. E racconta quanto siano importanti per loro i messaggi ricevuti da persone che hanno conosciuto Sara. “Ci ha riempito di soddisfazione sentire anche la voce o leggere i messaggi di alcuni suoi pazienti. Attenzione, non solo pazienti di Catanzaro ma anche di Trento. Anche di persone che l’avevano conosciuta per cinque o dieci minuti e che ci raccontavano di aver visto una dottoressa sicura di sé, di una persona premurosa ci restituiscono il ritratto, quasi postumo, di una ragazza che viveva un momento così drammatico ma che al tempo spesso era capace, malgrado tutto, a donarsi al mestiere, alla professione alle persone. Tutte le energie che aveva le concentrava su questo. Almeno fino al gennaio del 2021. Sapete cosa vuol dire? Che i medici erano al corrente della situazione. Sapevano cosa stava succedendo. Perché essi stessi soffrivano quella situazione. Anche loro venivano vessati e maltrattati, l’atmosfera era diventata tossica e loro si erano adattati, come se fosse uno status quo, come se fosse tutto normale. Invece erano ‘vittime’ anche loro”.
La famiglia Pedri si batte contro il mobbing sul lavoro e cercando di sensibilizzare le persone a denunciare fatti di questo tipo. Per abbattere quel “muro di gomma” che si era alzato in reparto che copriva la realtà delle cose. “Ho parlato di ‘muro di gomma’ – continua Emanuela – Ma ci tengo a dirlo. Io questo “muro” l’ho perdonato. Per andare avanti devi cominciare a guardare veramente chi hai di fronte. Devi metterti nei suoi panni per darti delle risposte. Devi fare domande, insistere, far parlare gli altri. E allora a un certo punto ho messo Sara in disparte per capire che cosa fosse accaduto. Perché altrimenti avrei continuato a provare solo rabbia. Abbiamo dovuto aspettare che questi medici trovassero il coraggio di uscire allo scoperto, di parlare, di testimoniare. È con questi presupposti che abbiamo intrapreso un percorso che ha poi portato all’apertura di un fascicolo e alle indagini, all’allontanamento di primario e vice primario. Io credo che Sara avesse protetto chi le stava intorno. Lei si sentiva ingabbiata non si sapeva nulla di quello che accadeva, ci diceva che le cose non andavano bene ma non capivamo per davvero credevamo fosse dovuto a un grande cambiamento che era avvenuto nella sua vita, il trasferimento in una città lontana in un ambiente lavorativo molto grande, eterogeneo complesso. Ogni giorno percorreva in auto la strada che da Cles conduce all’ospedale. È una strada che io ho percorso tre volte, tra curve e galleria, e mi è bastato per comprendere, quasi toccare il suo stato d’animo”.
Dopo anni di sofferenze e ricerche Emanuela ha sentito tangibile il dolore di sua sorella e soprattutto la sua solitudine. “Mia sorella si è sentita abbandonata, non dalla sua famiglia, ovviamente. Si è sentita abbandonata dal sistema. Non si è sentita tutelata e protetta, come è accaduto per la maggior parte dei professionisti che hanno lavorato in quell’ospedale. La verità è che dobbiamo smetterla di pensare che se denuncio un abuso non succede nulla. Perché? Perché innanzi tutto succede una cosa. Se subisco un abuso e lo denuncio, succede che almeno continuo a vivere”.
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