Il paradosso che vorrei provare a far emergere e sul quale riflettere, ora che va scemando il picco mediatico, è che il troglodita affibbiato dal presidente della Campania all’onorevole Lorenzo Fontana, poco dopo la sua elezione a terza carica dello Stato, è utile molto di più alla strategia che persegue lo stesso Vincenzo De Luca che a tutti gli altri. Fontana compreso. Il sarcasmo, assolutamente feroce e costantemente irriverente tanto da non temere uno sconfinamento nell’offesa personale, costituisce da sempre una precisa volontà del suo autore, una scelta di politica comunicativa che gli ha portato in dote tonnellate di audience, merce sempre più preziosa per ogni leader politico che è oggi pienamente immerso nella dimensione del politainment.

È la spettacolarizzazione della politica, un processo acceleratosi con la crisi dei partiti ma che De Luca ha avuto la capacità di comprendere e attuare prima di tanti altri, a imporre al leader di mutare in un personaggio mediatico e mediatizzabile. Di ritagliarsi un ruolo da interpretare, con la sua inevitabile sceneggiatura a corredo, che abbandoni quasi sempre e senza scuorno la virtù della gravitas, che per gli antichi romani doveva qualificare l’agire politico. Una mutazione che a Vincenzo De Luca è riuscita alla perfezione e che, adesso, nella società dominata dalla comunicazione digitale e dal monopolio dell’algoritmo delle piattaforme, è diventata quanto di più virale la politica riesca a produrre. Solo che sui social network, TikTok compreso che fino a un anno fa lo Sceriffo aveva snobbato, si è creata una saldatura eversiva tra il linguaggio incivile e anticonvenzionale che De Luca ha coltivato e innovato in questi anni per darsi una identità non replicabile e le preferenze alimentari dell’algoritmo verso quei contenuti divisivi e polarizzanti.

In questo combinato disposto c’è tanto del successo social di Vincenzo De Luca. Però, se l’algoritmo ha bisogno della sua spettacolarizzazione denigratoria e spesso vasciaiola per intercettare i pochi secondi di attenzione dei pubblici, De Luca, al contempo, ha bisogno a sua volta dei Fontana, dei Salvini, dei de Magistris o dei Di Maio. Senza di loro non ci sarebbe, qui il paradosso, neanche il De Luca o meglio sarebbe semplicemente un anonimo presidente di regione, un Nicola Zingaretti o un Alberto Cirio in salsa campana. L’attacco frontale a Ignazio “Benito” La Russa, così come quello al “troglodita” Lorenzo Fontana e, in ultimo ma non ultimo, a Matteo Salvini che ha osato criticare l’uso dei fondi pubblici regionali per organizzare la manifestazione voluta direttamente da De Luca per il 28 ottobre prossimo «per fermare Putin, l’atomica, salvare le imprese e aiutare le famiglie» sono funzionali a questa precisa strategia di comunicazione che va a caccia di un nemico da esporre al pubblico ludibrio.

Un nemico che viene descritto sempre come nullafacente, anti-meridionale, parassitario, espressione della peggiore politica politicante e di un governo sordo e lontano dai territori. Un nemico che, al contrario, ha trovato in De Luca pane per i suoi denti, in quanto Vicienz’ è l’unico e il solo paladino capace di difendere la povera gente, in un modo e con una forza che nessun altro prima o meglio è riuscito a fare. Perché, in quel suo parlare senza peli sulla lingua, senza premure o rispetto per le cariche istituzionali, c’è la forza della Verità, di una politica altra, diversa, che vuole raccontarsi come moralmente superiore. Il risultato immediato del dare del troglodita al presidente della Camera, così come di invitare Salvini a dare un senso alla propria vita montando il palco in Piazza del Plebiscito è il recupero di quote di audience, che da mesi diventa sempre più sottile confinando De Luca in una dimensione non più nazionale.

L’offesa e il dileggio provocatorio sono, oggi più che in passato, funzionali a recuperare una dimensione di visibilità e di credibilità nel dibattito politico nazionale. Sono strumenti di una strategia comunicativa che De Luca deve perseguire per sedersi in una posizione decisoria al tavolo del prossimo congresso del Partito Democratico e per non rimanere stritolato, seguendo lo stesso copione di contrapposizione recitato dopo la vittoria del M5S nel 2018, dai nuovi equilibri che si stanno costruendo attorno alla leadership di Giorgia Meloni.

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Domenico Giordano è spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore. Collabora con diverse testate giornalistiche sempre sui temi della comunicazione politica e delle analisi degli insight dei social e della rete. È socio dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica. Quest'anno ha pubblicato "La Regina della Rete, le origini del successo digitale di Giorgia Meloni (Graus Edizioni 2023).