Può un parlamentare fare mercimonio della propria attività? Può accettare denaro per presentare un atto parlamentare (ad esempio un disegno di legge di legge o un’interrogazione) oppure per votare in un certo modo? Ancor prima: il parlamentare può essere considerato alla stregua di un pubblico ufficiale chiamato a rispondere per i reati contro la pubblica amministrazione? Oppure le sue alte funzioni sono in tal senso assolutamente incomparabili perché, per Costituzione, vanno esercitate liberamente “senza vincolo di mandato” (art. 67), ragion per cui, nel loro esercizio, il parlamentare non può essere chiamato “a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati” (c.d. insindacabilità: art. 68.1)?

Sono queste le questioni che si agitano dietro alla vicenda, segnalata da questo quotidiano, del finanziamento di una multinazionale del tabacco alla Casaleggio & associati e dell’emendamento votato per diminuirne le imposte. Questioni non nuove se è vero che già il 31 gennaio 1893 la Camera dei deputati concesse l’autorizzazione a procedere nei confronti del deputato De Zerbi, imputato anche di corruzione per aver ricevuto somme per l’approvazione di un disegno di legge che interessava a una banca. Da allora, se si eccettua un lontano precedente rimasto isolato, favorevole a estendere l’insindacabilità anche al processo formativo della volontà alla base di ogni attività parlamentare (Camera dei deputati, 25 marzo 1971), l’indirizzo della giurisprudenza parlamentare che si è andato consolidando su questi casi negli ultimi decenni è univoco: il parlamentare può essere penalmente perseguito per quei fatti che possono denotare illecite interferenze con i corretti presupposti della funzione parlamentare.

Tale indirizzo ha trovato conferma nei (per fortuna rari) casi in cui i giudici hanno dovuto pronunciarsi su parlamentari accusati di corruzione. Così la Cassazione, nel caso dell’ex deputato Volontè (sentenza 36769/2017), ha affermato l’applicabilità del reato di corruzione quando si tratta di atti non connessi allo svolgimento di compiti di rappresentanza e/o di “compromesso” politico ma frutto dello sfruttamento privato dell’alta funzione ricoperta. E nella famosa vicenda che ha visto Berlusconi processato per aver “comprato” il voto del sen. De Gregorio (sentenza 40347/2018) ha affermato sia l’applicabilità dei reati contro la pubblica amministrazione a quanti svolgono funzioni parlamentari, sia la sindacabilità solo di quei comportamenti antecedenti ed esterni al loro esercizio che ne denotano distorsioni, come nel caso di corruzione.

Il divieto di remunerazione dell’ufficio pubblico, infatti, “esprime il valore della correttezza, quale dovere esterno, e che trova riscontro per ogni soggetto investito di pubbliche funzioni anche nel dovere di svolgerle con onore e disciplina, ai sensi dell’art. 54 Cost.”. È una precisazione importante per scongiurare l’opposto rischio, paventato già da Vittorio Emanuele Orlando, che un parlamentare potesse essere perseguito dal giudice penale anche per tutte quelle attività in cui si può sostanziare la vita politica-parlamentare, come per esempio il voto dato per «ottenere un Sottosegretariato di Stato».

La stessa Corte costituzionale, quando è stata chiamata a pronunciarsi sulla perseguibilità dei parlamentari che votavano per altri (c.d. pianisti) per i reati di falso ideologico e sostituzione di persona, ha espressamente affermato che si trattava di fattispecie di competenza dell’autonomia regolamentare delle Camere, e quindi come tali insindacabili per il giudice penale; questi, però, di contro avrebbe potuto svolgere il proprio giudizio in ipotesi rispetto ad esse estranee, come “episodi di lesioni, minacce, furti ai danni di parlamentari, [e, per l’appunto] corruzione” (sentenza 379/1996).

Che significa tutto questo in riferimento alla vicenda sopra segnalata? Che l’attività dei parlamentari del M5S rimane insindacabile quando si traduce in atti parlamentari tipici, come il voto, anche qualora fosse dimostrato che essi abbiano agito in conseguenza di un accordo corruttivo tra la Casaleggio s.r.l. e i rispettivi gruppi parlamentari. Ad opposta conclusione, invece, si deve pervenire per tutta quell’attività – precedente e antecedente – all’esercizio della funzione parlamentare che rimane pienamente sindacabile qualora penalmente rilevante, benché inutile nascondersi le difficoltà nel provare l’esistenza di un accordo in tal senso. In tutta questa vicenda rimane però sullo sfondo l’irrisolto problema del rapporto tra politica e danaro – ché la politica costa! – specie da parte di coloro che, se da un lato sdegnosamente rifiutano il finanziamento pubblico indiretto (così da non essere nemmeno obbligati a rispettare i requisiti minimi di democrazia interna), dall’altro ricorrono a forme alternative di finanziamento non sempre limpide e lineari. Ci ritorneremo.