La nuova segreteria dem
“Schlein ha unito due mondi che erano distanti”, intervista a Alfredo D’Attorre
Nella nuova segreteria nazionale del Partito democratico, Alfredo D’Attorre ha la responsabilità dell’Università. All’attività politica intreccia quella di docente (insegna Filosofia del diritto all’Università di Salerno) e saggista. Ricordiamo il suo libro più recente: Metamorfosi della globalizzazione. Il ruolo del diritto nel conflitto politico (Editori Laterza)
Alfredo D’Attorre, il ritorno a casa di Articolo 1, del quale è stato uno dei dirigenti e fondatori, è frutto di necessità o un investimento sul “nuovo Pd” di Elly Schlein?
È il frutto di una scelta che la comunità di Articolo Uno ha maturato da tempo e che la vittoria di Elly Schlein ha confermato essere giusta. E non è il ritorno alla casa di prima, ma l’investimento sulla costruzione di un Pd che vogliamo sia veramente nuovo, in termini di idee, cultura politica, classi dirigenti e modello organizzativo. Il punto di fondo dell’analisi che si è affermata nel congresso di Articolo Uno della scorsa primavera è stato questo: per costruire un campo alternativo alla destra credibile e competitivo non basta aggiungere una componente in più di sinistra, ma serve contribuire attivamente al cambiamento del soggetto centrale del centrosinistra, da cui dipende in buona misura la fisionomia dell’intera coalizione. Sarà un processo non breve e non facile, ma l’esito del congresso costituente ci ha detto che questa scommessa non è stata azzardata.
Nei primi atti della sua segreteria, Schlein ha molto insistito sui diritti civili. E la grande e irrisolta “questione sociale” che è alla base della “rottura sentimentale” tra la sinistra e le fasce più deboli della società, quelle che un tempo erano il suo tradizionale elettorato?
Ho conosciuto meglio Elly Schlein nei mesi del congresso e devo dire onestamente che quella di una persona interessata solo ai temi dei diritti civili e dell’ambiente è una caricatura pigra e distante dalla realtà. Naturalmente lei ha una cultura politica e modalità comunicative che non coincidono con impostazioni più tradizionalmente laburiste o socialdemocratiche come le mie, ma ci sarà pure una ragione se a vincere il congresso è stato un approccio più “contemporaneo” ed “eterodosso” come il suo… E non avrebbe vinto se non avesse saputo congiungere due mondi che finora avevano fatto fatica a incontrarsi: un elettorato più giovanile e meno segnato da appartenenze precedenti e settori di sinistra e del mondo del lavoro più tradizionali, che negli anni scorsi si erano dispersi e che non sarebbero tornati se non avessero percepito un messaggio finalmente chiaro e in discontinuità sui temi economici e sociali. Ora naturalmente questo “miracolo” che si è compiuto alle primarie e che è proseguito nelle settimane successive, con migliaia di persone che hanno deciso di riprendere la tessera del Pd o di prenderla per la prima volta, va trasformato in un progetto politico solido, capace non solo di invertire il trend elettorale del Pd, ma di cambiare nel medio periodo gli equilibri politici di fondo nel Paese rispetto alla destra.
Un tempo uno dei cavalli di battaglia della sinistra e dei movimenti studenteschi era il “diritto al sapere” e allo studio. Archeologia politica?
No. Sull’Università adesso cominceremo una campagna di ascolto delle diverse componenti del mondo accademico, docenti, ricercatori, dottorandi, studenti, personale tecnico-amministrativo, con umiltà e con la disponibilità a riconoscere gli errori compiuti anche dal centrosinistra in questo settore negli ultimi decenni. Negli anni più recenti i nostri gruppi parlamentari hanno lavorato con efficacia per correggere alcuni disastri della legge Gelmini, a partire dalle questioni del reclutamento e della precarietà dei giovani ricercatori, ma è evidente che dobbiamo metterci in condizione di sfidare la destra con un’idea radicalmente alternativa del ruolo dell’Università nella società italiana, voltando pagina rispetto a elementi di subalternità culturale che la sinistra ha mostrato anche in questo campo. E questo lo possiamo fare solo con un dialogo profondo con la comunità accademica in tutte le sue articolazioni. Al di là delle frasi fatte sulla centralità della ricerca e del diritto allo studio, l’Università ha un rapporto cruciale con due questioni fondamentali per il futuro dell’Italia: quella della qualità della nostra democrazia, che dipende dalla formazione di cittadini dotati di spirito critico e autonomia culturale, e quella economica, legata a quale tipo di sviluppo produttivo e di ruolo nella divisione internazionale del lavoro immaginiamo per il nostro Paese. La possibilità di uscire dalla spirale precarietà-bassi salari-bassa produttività passa anche dal ruolo del nostro sistema universitario. Evidentemente, la destra, che parla di troppi laureati o del Sud che dovrebbe concentrarsi sul turismo, ha in testa un altro modello…
Il rinnovamento del partito può ridursi ad un cambio, peraltro contrastato e contestato internamente, della classe dirigente?
Evidentemente no. Il ricambio è necessario, è già in corso e dovrà continuare sul territorio, ma la percezione del Pd da parte di un elettorato più largo dipenderà soprattutto dalla chiarezza e dall’autenticità del nostro messaggio sui temi di fondo che toccano la vita delle persone: il lavoro, l’istruzione e la sanità pubblica, la capacità di tenere assieme giustizia sociale, fiscale e ambientale, la regolazione del mercato, la ricostruzione dello Stato e della pubblica amministrazione.
Una delle parole più gettonate nel dibattito a sinistra, è “identità”. Ma se non viene sostanziata politicamente, resta una parola appesa nel nulla, mero esercizio retorico. Provi lei a declinarla, anche su temi di drammatica attualità come la guerra.
Se devo tradurla in una formula, direi: far emergere più chiaramente che il sacrosanto sostegno all’autodifesa dell’Ucraina aggredita (se fossi stato in Parlamento, avrei votato anch’io a favore della prosecuzione del sostegno militare) non significa assecondare chi negli Stati Uniti, nel Regno Unito o in Polonia pensa che questa guerra possa essere “vinta” mettendo in ginocchio la Russia o arrivando al suo smembramento. C’è bisogno di un nucleo europeo, a partire da Germania, Francia, Italia e Spagna, che prenda un’iniziativa autonoma rispetto ai nostri amici e alleati americani e proponga un terreno di mediazione ai belligeranti. Al di là dei tempi e di eventuali finalità di politica interna, nella sostanza Macron ha sollevato un punto giusto, anzi il vero punto della questione.
Il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza nazionale sul fronte migranti. Le Ong sono insorte così pure il mondo cattolico. E il Pd?
Sull’immigrazione la nostra posizione è limpidamente alternativa alle speculazioni della destra. La dichiarazione dello stato di emergenza è l’ammissione di aver fatto per anni solo una cinica propaganda: ora la sinistra è all’opposizione, la Lamorgese non è più ministro, le Ong sono state imbrigliate e al governo ci sono loro. Ma il problema è diventato ancora più grande.
Un tema ricorrente è quello delle alleanze. Dopo Enrico Letta, ora anche Elly Schlein ipotizza la creazione di un “campo largo” del centrosinistra. Perché dovrebbe riuscire laddove il suo predecessore ha fallito?
Il campo dell’alternativa alla destra (che a me, peraltro, non piace chiamare largo, perché dà l’idea di un assemblaggio a prescindere dal progetto) si costruisce se c’è un baricentro forte che, per il suo peso e per la chiarezza del messaggio al Paese, riesce a svolgere una funzione “gravitazionale”. Se riusciremo davvero a costruire il nuovo Pd, come immagino, vedrà che al momento opportuno ci sarà anche una coalizione forte e competitiva.
Tra Calenda e Renzi volano gli stracci. È solo una questione di personalismi esasperati?
Potrei cavarmela con una battuta e dire che ho una certa esperienza della difficoltà di condividere lo stesso partito con Renzi… Ma dietro c’è anche un altro problema, più profondo. Secondo me, Renzi ha capito – devo dire lucidamente – che non c’è lo spazio per un centro fuori dai due poli. Io resto un convinto sostenitore del proporzionale, ma, con il permanere del Rosatellum e la vittoria della destra, lo spazio per una compiuta proporzionalizzazione del sistema politico si è chiuso, temo per un periodo non breve. E in prospettiva, Renzi punta – comprensibilmente dal suo punto di vista – a occupare il centro del futuro centrodestra. Ora è Calenda che deve decidere cosa fare. Se continuare a fare il fenomeno con tutti, o fare un bagno di umiltà e mettersi a costruire la componente liberale del futuro centrosinistra. Mi auguro che scelga la seconda strada.
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