Il quesito referendario n. 4 incide sull’Ordinamento giudiziario e sulla normativa connessa agli organici della Magistratura, alla relativa formazione e aggiornamento, all’accesso in magistratura, alla progressione economica e di funzione dei magistrati, nonché alla funzionalità del sistema giudiziario in genere, eliminando ogni riferimento al “passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa”.

La separazione delle carriere dei magistrati risulta fondamentale per garantire l’imparzialità del giudice e quindi, una giustizia giusta. Oggi, infatti, il sistema consente al magistrato che abbia intenzione di farlo di transitare dalla funzione giudicante a quella requirente, disciplinando quindi la possibilità che un magistrato possa svolgere nel corso della sua carriera le attività tipiche della pubblica accusa e del giudice. Questo meccanismo, fondato sulla indistinzione dei ruoli di ordinamento giudiziario, rischia però di generare pericolosi condizionamenti dai quali la cultura del giudice deve restare immune. La vittoria del “Sì” consentirebbe di salvaguardare tale cultura, in funzione di decisioni imparziali. Marco Naddeo, avvocato penalista e professore di Diritto Penale dell’Economia all’Università degli Studi di Salerno spiega al Riformista il contenuto del quesito e le motivazioni del Sì.

Professore, oggi come viene disciplinata la carriera dei magistrati?
«L’Ordinamento Giudiziario attuale non prevede distinzione di ruoli tra magistrati requirenti e magistrati giudicanti, per cui il magistrato in funzione di Pubblico Ministero condivide il medesimo “contesto” del magistrato giudicante sia in sede di reclutamento che nelle successive fasi che ne scandiscono la carriera. Soppressa ogni distinzione di ruolo, pm e giudice si caratterizzano unicamente per la funzione, che tuttavia può essere abbandonata dal magistrato con il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle del Pubblico Ministero e viceversa».

Cosa propone il quesito?
«Il quesito sottoposto a referendum abrogativo propone di cancellare le interpolazioni normative dell’ordinamento giudiziario e delle leggi complementari che oggi disciplinano “il passaggio (del magistrato) dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa”. Votando “si”, il cittadino orienta la sua preferenza all’eliminazione della “promiscuità” di ruoli tra giudice e pubblico ministero».

Il “Sì” quali cambiamenti apporterebbe?
«Una vittoria del “si” implicherebbe la necessità per il magistrato di scegliere all’inizio la funzione che intende svolgere, avviando il fondamentale processo di separazione delle carriere tra giudicanti e requirenti. In tal modo, si eliminerebbero i condizionamenti che rischiano di corrompere la “terzietà del giudice” e, dunque, di scalfire la “imparzialità della decisione” di cui la prima costituisce indispensabile premessa; infatti, si eviterebbe di omologare un soggetto con potere d’indagine (il pm) a un soggetto terzo (il giudice) che deve rimanere equidistante dalle parti processuali. Insomma, nonostante il quesito referendario può spingersi solo a riformare i passaggi tra le funzioni, un successo del “Si” ricollocherebbe l’accusare e il giudicare sui diversi terreni che competono ad attività ontologicamente distinte».

C’è chi sostiene che la separazione delle carriere condurrebbe il pm sotto il controllo dell’esecutivo, ovvero comporterebbe un indebolimento della “cultura giurisdizionale” del magistrato requirente.
«Entrambe le obiezioni potrebbero essere definite argomenti- parassita. A mio avviso, esse travestono di apparente tecnicismo un problema che è e resta politico. Mi spiego. Non è dato comprendere per quale ragione la separazione delle carriere finirebbe per assoggettare i Pubblici Ministeri al controllo dell’esecutivo e, in ogni caso, l’indipendenza del potere dell’accusa – trasparentemente esercitato e responsabilizzato – può essere adeguatamente preservato. Qualunque ne sia l’interpretazione, poi, agganciare il totem della ‘cultura giurisdizionale’ alla indistinzione dei ruoli della magistratura è ingenuo o mistificatorio. Non è la militanza nello stesso contesto a preservare la cultura giurisdizionale del pubblico ministero, ma certamente la condivisione di interessi può smussare le diversità che devono invece caratterizzare l’angolazione prospettica di chi giudica. In alcuni casi, la colleganza può addirittura pregiudicare l’indipendenza elevata dalla nostra Carta fondamentale a precursore della imparzialità che deve contrassegnare la decisione del giudice (art. 101, comma 2 Cost.). E questo è un dato ormai acquisito dall’opinione pubblica più sensibile. Il problema politico, quindi, intreccia i valori costituzionali posti alla base della vicenda processual-penalistica. E se un profilo tecnico lo si vuole rintracciare questo ha a che fare proprio con l’architettura della Costituzione».

Cosa intende dire?
«Dopo la riforma dell’articolo 111, la Costituzione risulta affetta da uno sviluppo “asimmetrico” delle due sezioni che ne compongono il Titolo IV – Parte II dedicato alla Magistratura. In estrema sintesi, mentre la Sezione II (Norme sulla giurisdizione) ha già distinto la figura del magistrato del Pubblico Ministero da quella del magistrato Giudicante, la Sezione I (Ordinamento giurisdizionale) resta ingiustificatamente ancorata alla unicità dei ruoli (art. 107, comma 3, Cost.), evidenziando un problema strutturale cui la riforma potrebbe porre rimedio. Come è stato rilevato, la distinzione dei ruoli costituirebbe, dunque, il fisiologico completamento dello sviluppo di ingegneria costituzionale, dal momento che “I giudici sono soggetti solo alla legge” (art. 101, comma 2, Cost.) e “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale” (art. 112, Cost.). In altri termini, si tratta semplicemente di costruire il ragionevole pendant all’art. 111, comma 2, Cost. per cui “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.