“Volete voi che sia abrogata la Legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati) nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 2, comma 1, limitatamente alle parole “contro lo Stato”; art. 4, comma 2, limitatamente alle parole “contro lo Stato”; art. 6, comma 1, limitatamente alle parole “non può essere chiamato in causa ma”; art. 16, comma 4, limitatamente alle parole “in sede di rivalsa”; art. 16, comma 5, limitatamente alle parole “di rivalsa ai sensi dell’art. 8?” La responsabilità diretta dei magistrati è uno dei sei quesiti al centro del referendum sulla giustizia.  

Andrea Castaldo, avvocato penalista e professore ordinario di Diritto Penale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Salerno, inaugura la rubrica di approfondimento del Riformista che da oggi e per i prossimi giorni tratterà i quesiti proposti dal Partito Radicale, Lega e da altre organizzazioni impegnate nella raccolta firme: Forza Italia, Nuovo PSI, UDC, PSI. Il professor Castaldo spiega il contenuto del secondo quesito del Referendum e illustra le ragioni del Sì: «I magistrati, non potendo essere chiamati a rispondere direttamente dei danni causati nell’esercizio delle funzioni, sono beneficiari di un ingiustificato privilegio rispetto agli altri pubblici funzionari e anche ai comuni cittadini e questo sistema non ha ragione di esistere. Ai magistrati che vedono minacciata la loro indipendenza dico che non è assolutamente così: la loro autonomia resterebbe invariata ma si eviterebbero le lungaggini processuali e l’eccesso di burocrazia, derivanti dall’attuale sistema di rivalsa obbligatorio. È evidente poi che quello attuale è un sistema che non funziona: dal 2010 al 2021 si contano 129 pronunzie tra i tribunali e la Cassazione, ma solo 8 condanne contro lo Stato».

Professore, oggi il diritto in che modo regola la responsabilità dei magistrati?
«Oggi la legge dice che chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia, può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali. In sostanza, non può citare direttamente il magistrato, ma lo Stato che se poi risarcirà effettivamente il cittadino si dovrà rifare obbligatoriamente sul magistrato. Il magistrato, però, il cui comportamento, atto o provvedimento rileva in giudizio non può essere chiamato in causa ma può intervenire in ogni fase e grado del procedimento, ai sensi di quanto disposto dal secondo comma dell’art. 105 del codice di procedura civile. In conclusione, con il testo vigente il magistrato risponde comunque dell’eventuale errore commesso, ma c’è lo Stato a fare da filtro e non lo si può citare direttamente».

Quindi, cosa propone il quesito?
«Propone in sostanza, trattandosi di un referendum abrogativo, un semplice un tratto di penna: cancellare dove troviamo scritto “contro lo Stato” e “non può essere chiamato in causa”. Quindi, votando sì, se passa il referendum, il cittadino può citare direttamente il magistrato, senza prima dover agire contro lo Stato e chiamarlo in causa».

Il “Sì” quali cambiamenti comporterebbe?
«Innanzitutto l’azione di rivalsa obbligatoria comporta un inutile appesantimento e allungamento del contenzioso, che verrebbe così evitato. Ma la questione più importante è che il lavoro del magistrato verrebbe equiparato a tutte le altre professioni: i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. I magistrati, invece, non potendo essere chiamati a rispondere direttamente dei danni causati nell’esercizio delle funzioni, sono beneficiari di un privilegio immotivato rispetto agli altri pubblici funzionari e anche ai comuni cittadini. Inoltre, osservando le statistiche è evidente che qualcosa in questo sistema giudiziario non funziona come dovrebbe: dal 2010 al 2021 si contano 129 pronunzie tra i tribunali e la Cassazione, ma solo 8 condanne, di cui 3 nei tribunali e 5 in Cassazione, contro lo Stato (l’1,4%). In tribunale, su 62 sentenze, ci sono state solo 3 condanne, in appello 11 sentenze e “zero” condanne, in Cassazione 23 sentenze e 5 condanne. Tra i distretti nei quali si iscrivono più cause spicca Perugia con 136 richieste in 11 anni, ma solo 6 sentenze emesse, di cui nessuna di condanna. Quindi il risultato è 136 a zero. Nessuna responsabilità mai riconosciuta, in ben 11 anni, in quel distretto».

Qualcuno, però, potrebbe obiettare che così facendo chiunque e anche senza una ragione effettiva potrebbe denunciare il magistrato.  
«Il rischio di uso strumentale dell’azione trova una smentita nell’art. 4, comma 2, Legge n. 117/1988 che recita: l’azione di risarcimento può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell’ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno».

C’è anche chi esprime la preoccupazione per una magistratura meno indipendente.
«Non è così. Esiste già una forma di responsabilità diretta: qualora il danneggiato scelga di costituirsi parte civile, quindi esperisca l’azione civile nel processo penale, non troverà il “filtro” dello Stato. Si crea una strana sperequazione tra esercizio dell’azione civile nel processo penale e quello nella sede naturale».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.