Il primo uomo nello spazio
Sessanta anni fa il primo volo nello spazio: Gagarin fece sognare la Russia e infuriare gli Usa
Accadeva 60 anni fa. 13 Aprile 1961, il primo uomo nello spazio. L’Homo Sovieticus. Jurij Gagarin. Figlio di proletari, uomo modesto ma forte, il tipico eroe di un mondo alternativo a quello occidentale. Nikita Krusciov, il successore di Stalin, lo chiama mentre lui è in orbita e gli chiede: “Siete sposato? Avete figli?. “Sì, compagno Serghei Nikolaevic, ho una moglie e due figlie”. “Fatele tanti auguri e dite alle vostre figlie che possono essere orgogliose del loro padre. Salutate anche i vostri genitori”. “Grazie, compagno Krusciov, ne saranno onorati”.
Il mondo in quel giorno d’aprile di sessanta anni fa non solo esulta, ma riconosce al sistema comunista sovietico un primato. Un primato che va al di là della tecnologia. Jurij Gagarin dispone persino di strumenti futuristici e infallibili: si parla di un orologio sovietico spaziale sincronico che non può perdere un istante che funziona con un diapason. Diapason e Gagarin diventano parole gemelle: ancor oggi, quando le nuove Soyuz in leasing internazionale solcano l’ ultra-spazio, portano i nomi di quell’astronauta e di quell’oggetto, quelli di una generazione di gioielli perfetti come appartenuti agli dei. Ma immaginari. Molto più che oggetti: sono simboli. In Italia tutti coloro che si sentono vicini al partito e al comunismo sovietico esultano in un delirio che si sforza di mantenere una compostezza razionale, ma che non vuole trattenere la gioia per la potenza esplosiva di un mondo alternativo a quello degli americani, i quali ancora non sono capaci di impressionare l’umanità con le future macchine celesti del programma Apollo. E quando lo faranno, non conquisteranno mai l’aura magico-religiosa della vittoria ideologica attraverso la tecnica.
A questo penserà più tardi il presidente Donald Reagan con un gioco di spregiudicate pressioni economiche militari e scientifiche su Michail Gorbaciov, quando lo metterà di fronte ai costi e alle tecnologie delle immaginarie Guerre Stellari, che in realtà esistevano soltanto nella fantasia dei progetti americani. Allora era il 1961, (che fra l’altro è l’anno della costruzione del famigerato Muro di Berlino) siamo a pochi anni di distanza dal lancio del primo satellite artificiale in un’orbita terrestre, la sfera di metallo chiamata Sputnik , lo stesso nome che oggi La Russia non più sovietica ha dato al suo vaccino eternamente in attesa di autorizzazione dell’Ema, sembra per la riluttanza russa a far visitare i propri stabilimenti dagli ispettori europei. Era anche quello di Gagarin un mondo segreto. L’Unità, quotidiano del Partito comunista italiano, riferiva come fatto ovvio che la località da cui era partita l’astronave era segreta e che il segreto proteggeva il gioiello mondiale comunista, che usava le armi della discrezione per sviluppare le armi della scienza in vista del trionfo dell’uomo nuovo.
“Il vostro nome sarà ricordato nei secoli ”, diceva Radio Mosca rivolgendosi all’astronauta nella cabina spaziale così terribilmente scomoda e imprigionante, se paragonata al comfort delle attuali stazioni orbitanti in cui anche gli astronauti italiani si alternano nuotando nell’aria, parlando in diretta televisiva terrestre. Allora, sessanta anni fa come oggi, tutto era così monoblocco: un uomo come un pulcino dentro una tuta dentro una capsula dentro una macchina sopra un razzo lanciato nel buio, senza paura perché i calcoli perfetti della macchina scientifica sovietica non avrebbero costituito alcun pericolo, appartenendo alla sfera divina del futuro costruito su una potente religione atea. Sappiamo che le cose erano meno facili di come ci sono state raccontate perché sicuramente alcuni astronauti russi di cui non sappiamo il nome hanno perso una vita in esperimenti falliti ma questo oggi non importa.
Oggi non esiste più l’unione delle repubbliche socialiste sovietiche ed anzi proprio in queste ore una di queste repubbliche, quella Ucraina, si sta attrezzando per fronteggiare militarmente la Repubblica russa, mentre la Repubblica bielorussa non sta guardare ma traffica in armi e uomini. Non esiste più una Cecoslovacchia come allora nell’aprile del 1961, quando radio Praga trasmetteva messaggi entusiasti del popolo cecoslovacco che fu una drammatica invenzione poi risolta con la separazione siamese definitiva dei boemi e degli slovacchi. E gli ungheresi, persino gli ungheresi che 5 anni prima erano stati martirizzati da carri armati dell’armata rossa che avevano represso nel sangue la rivolta degli studenti e degli operai di Budapest guidati dal loro stesso partito comunista, persino loro ora si dichiarano entusiasti, ammirati e sbalorditi dall’innegabile successo della madrepatria sovietica.
In Italia regnava allora il sindaco La Pira di Firenze che era un democristiano di sinistra molto aperto ai comunisti e all’Unione Sovietica, molto chiuso al mondo americano, e che quindi era guardato con estrema simpatia da tutta l’area della sinistra sia italiana che internazionale. E mentre Gagarin spiccava il volo, era presente proprio a Firenze il grande scienziato sovietico Blagonravov, un anziano in abito di fattura modesta e decorosa che raccontava ai cronisti di conoscere – nientemeno! – di persona il compagno Gagarin. E lo raccontava allo stesso sindaco di Firenze, aggiungendo con un sorriso che l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, dopo avere incassato il successo del primo uomo in orbita intorno alla Terra, già si apprestava ad esplorare gli altri mondi: non tanto la Luna, considerata una tappa troppo banale, ma più in là, oltre lo spazio fino ai pianeti Marte e Venere che sembravano ormai a portata di mano. Tutto ciò che oggi può sembrare ovvio, datato, persino patetico, era allora sul pinnacolo dell’enfasi come i violinisti di Chagall che volavano con le loro mucche sopra le case.
Così i sogni propagati dalla incommensurabile terra in cui si sviluppava la rivoluzione comunista, e che già a riverberava sull’umanità gli effetti prodigiosi e indiscutibilmente superiori della tecnica, della scienza, dell’esplorazione umana, della potenza missilistica, della indiscutibile qualità della scuola, delle università, di tutto un intero sistema che era insieme padre e madre di quel risultato magnifico e tuttavia così proletario come il volo di Gagarin intorno alla terra. L’astronauta descriveva dagli oblò il mondo che vedeva dall’alto. Fu la prima volta che il pianeta terra riceveva le foto di se stessa vista da fuori: l’oggettivizzazione astrale, la visione dei Monti e delle valli, degli oceani, delle nubi, degli acciai e dei deserti ma anche la improvvisa visione spionistica di oggetti nell’aria capaci di vedere tutto, fotografare tutto, lontani dalla gittata delle armi o perlomeno a distanza tale da poter giocare una partita molto diversa da quella militare tradizionale. Sembrò allora che il trionfo fosse definitivo e completo.
L’Unione Sovietica che aveva cominciato male la seconda guerra mondiale, aveva poi pagato un tributo di sangue come mai nessun altro popolo nella storia, per vincere l’aggressione tedesca non soltanto con l’eroismo dei soldati ma con la capacità tecnica di inventare mettere sul campo nuovi carri armati, nuove Katiuscie, nuova artiglieria ed aerei, e che ora, a pochi anni di distanza da quella guerra, aveva sviluppato la tecnologia della nuova Unione Sovietica vittoriosa era diventata la potenza pacifica dell’esplorazione spaziale. Con dentro per la prima volta un essere umano. La prima creatura vivente che aveva pagato un prezzo, quello inconsapevole della sua stessa vita, era stata la cagnetta Laika, chiusa a forza dentro un razzo e sparata nel vuoto ad abbaiare in un microfono.
Poi c’era stato il volo semi orbitare di Titov, ed ora Jurij Gagarin completava l’ empireo socialista sovietico con eleganza e sexy appeal: non c’era ragazza nella vasta Unione Sovietica ma anche in Europa e negli Stati Uniti che non avrebbe voluto festeggiare il modesto ed attraente Jurij Gagarin, figlio di brava gente di campagna , niente grilli per la testa: tutt’altra umanità se comparata a quella americana che appariva così sfacciatamente volgare e per ora perdente. Fu quello il momento più alto e da allora il nome di Gagarin era stato usato per Marche di orologi sovietici tutti di una precisione stellare impossibile, il diapason che vibrano all’unisono con l’anima e col corpo e permettono la posizione umana più favorevole all’interno delle navicelle. Tutto sembrava nuovo magnifico e magico. Purché venisse dal mondo del bene. Il mondo del male allora appariva chiaramente quello di mammona, del denaro, del capitalismo, del razzismo e dello sfruttamento della fugacità del consumismo della sfacciata decadenza del mondo occidentale. Ci vorranno quasi trent’anni perché tutto si capovolgesse come si capovolse. Ma fu la loro ora più bella. Non soltanto dell’unione delle repubbliche socialiste sovietiche, non soltanto sui cieli spenti e neri oltre lo spessore della ionosfera, ma nelle menti e nei cuori di tutti coloro che sul pianeta terra erano sicuri che un nuovo sole era sorto ed era quello dell’avvenire. Socialista, naturalmente. Anzi meglio, comunista.
Gli americani erano sempre più scioccati impressionati da questi successi, mettevano sotto processo tutto il loro sistema di apprendimento scolastico fustigandosi in tutti i modi e ordinando previsioni sempre più radicali per lo studio della matematica della fi sica e delle scienze in generale. Fu in questo senso una potente sferzata di energia quella che l’astronauta solitario Jurij Gagarin vibrò sul mondo di sessanta anni fa: quella sferzata ha fatto vibrare il nostro pianeta. Di Gagarin arrestano inevitabili monumenti, steli, memorie ma un decrescente numero di coloro che possono dire “io c’ero, io ricordo”. Io – ad esempio – c’ero e ricordo. E devo dire che riportare alla luce quelle sensazioni per chi oggi è giovane, è quasi impossibile. Uno dei più grandi psicologi viventi, Irwin Yalom, sostiene che ognuno di noi è un universo in cui si accumulano ricordi anche minimi che per lo più non meritano menzione, ma che tuttavia sono il mondo.
Ognuno di noi quando perisce porta con sé non soltanto una memoria ma un intero universo con cui non possono competere i ricordi filmati, o memorizzati nemmeno sui libri. Quel mondo che fu emotivamente distorto e illuminato dall’avventura di Gagarin è ormai ai confini del nulla, che poi è il confine dello spazio che lui salì per primo ad annusare.
P.S. Jurij Alekseevič Gagarin era nato nel marzo del 1934. Era molto piccolo: 1 metro e 57. Aveva solo 27 anni al momento del volo spaziale. Morì in un incidente aereo, mentre pilotava un caccia, il 27 marzo del 1968, a 34 anni.
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