Dati alla mano, come svelato dal Riformista, la macchina amministrativa e istituzionale del Comune di Napoli è di gran lunga la più costosa d’Italia. E, purtroppo, anche tra le meno efficienti, caratterizzata da zero servizi per i cittadini e da una burocrazia folle e nemica dello sviluppo. Tanto è ancora più paradossale se si pensa che i Comuni si devono oggi confrontare con nuove impegnative funzioni e con un’evoluzione che li ha trasformati in enti regolatori, pianificatori, decisori e controllori, ma soprattutto sono “agenti” dello sviluppo in un contesto caratterizzato da una forte competizione territoriale. La lamentela ricorrente è che a Napoli mancano le risorse. Ma di quali risorse stiamo parlando?

Le risorse finanziarie sono solo uno dei tasselli, forse neppure il più importante. Le risorse necessarie per alimentare un sano sviluppo e dare prospettive alle economie locali sono le idee, le persone, le reti, le regole in grado di mobilitare successivamente il denaro e il mercato, oltre che di stringere alleanze tra pubblico e privato. Ciò che serve, dunque, è una governance per lo sviluppo. E la governance territoriale implica sempre il coinvolgimento della pubblica amministrazione (cioè il government), della business community (cioè le imprese, i lavoratori, il terziario e le loro associazioni di rappresentanza e cura degli interessi) e della comunità territoriale (cioè la società civile).

Oggi, a Napoli, assistiamo invece al crollo dell’azione amministrativa della seconda giunta de Magistris: slogan triti e ritriti, mai seguiti da azioni concrete, e continui cambi di vertici amministrativi e politici hanno sancito prima il crollo dell’uomo de Magistris, poi quello della sua bandana arancione, infine quello del sindaco. Il problema è che la “disamministrazione”, nell’arco degli ultimi dieci anni, ha rischiato di colpire anche la città che si potrà prontamente risollevare solo ad alcune condizioni. La prima è che sia governata, la seconda che sia governata, la terza che sia governata… e così a ripetere.

Il vero e principale problema del malgoverno di questi ultimi anni, è dato dal fatto che per svilupparsi, per creare ricchezza, per fornire occasioni e posti di lavoro, per crescere e consentire a tutti una giusta qualità della vita, Napoli ha bisogno di investimenti, imprenditori, soldi pubblici e privati che circolino. Ancora, la città ha bisogno di un patrimonio immobiliare pubblico e privato di qualità, infrastrutture primarie e secondarie che consentano l’agevole espletarsi di un’attività lavorativa ed economica, di un ente pubblico che sappia come, dove e perché consentire gli insediamenti produttivi. Di certo servono gli imprenditori, le iniziative economiche e la ripresa dei lavori edilizi pubblici e privati. Soprattutto, però, occorre una città per loro ospitale, che non contrasti ma affianchi e sostenga le iniziative economiche, gioisca della loro ripresa, solidarizzi con i privati.

I problemi veri del Comune di Napoli sono non solo e non tanto lo sperpero di denaro o le assunzioni di staffisti a chiamata diretta che violano il precetto costituzionale che prevede un concorso pubblico per essere immessi in un’amministrazione pubblica. Il problema non è la mortificazione delle risorse interne del personale, scavalcato da queste immissioni massicce, né la tracotanza di chi gestisce il potere. Il vero dramma sono le macerie che questa strategia amministrativa lascia sul territorio. La Torre Brava e via Marina sono il simbolo di tutto ciò: dopo i soldi spesi, le mancate entrate per il Comune, la bruttura di cantieri interminabili e di manifesti pubblicitari di dubbio gusto, le difficoltà e i fallimenti delle piccole imprese della zona e il groviglio inestricabile del traffico, Napoli non ha una torre restaurata e una strada degna delle grandi capitali europee, ma una torre a rischio crollo, finte piste ciclabili, filari di palme morenti e puntellate, una costosissima struttura in ferro che incuriosisce passanti e turisti all’incrocio con corso Lucci e una corsia per i tram che non riesce ad arrivare al luogo di partenza dei mezzi. Perciò, senza esitazioni nei confronti dei responsabili di questo sfascio e dell’opposizione che questo sfascio ha tollerato in compiacente silenzio, la società civile deve prendere le redini della situazione e rimboccarsi le maniche.

I primi passi da fare sono nella direzione di una riprogettazione totale: grandi programmi di manutenzione, ristrutturazione e recupero con i fondi destinati al rilancio del patrimonio abitativo pubblico e privato senza creare ostacoli di nessun tipo a chiunque voglia assumere iniziative; piani per rilanciare le attività produttive affiancandole in tutti i percorsi e creando figure come il city manager che orienti e guidi gli investimenti privati in direzione coordinata e funzionale alla volontà pubblica; una strategia di rilancio per edicole, grande distribuzione, piccolo commercio, ditte pubblicitarie e ambulanti; una sapiente gestione della movida, della somministrazione di alimenti e bevande; piani per i trasporti e per la creazione di reti metropolitane efficienti e funzionali a ospitare gli investimenti privati senza i quali non ci saranno lavoro e ricchezza; progetti per l’utilizzazione delle ingentissime risorse che il Governo lascerà amministrare alle città solo se e quando queste avranno dimostrato di essere in grado di farlo.

Il crollo dell’azione amministrativa del Comune di Napoli è dovuto, in ultima analisi, all’assenza di ogni pianificazione degli interventi e alla presenza di assessori e burocrati incapaci di gestire il quotidiano, prima ancora che di “programmare” la città. Ed è per questo motivo che a Napoli non servono il toto-nomi e le candidature, ma piani e progetti in grado non di imbrigliare e controllare, ma di coadiuvare l’innata creatività dei napoletani e la sconfinata bellezza di una città il cui intero centro storico è patrimonio dell’umanità.