«Il Comune di Napoli sborsa una cifra esorbitante per far funzionare i suoi organi istituzionali: risorse spese male e in modo poco trasparente. Serve una norma ad hoc? No, perché già esiste ma viene aggirata». Ferdinando Pinto, professore di Diritto amministrativo ed ex sindaco di Sorrento, commenta i dati pubblicati da Openpolis sulle cifre che i principali Comuni italiani spendono per il funzionamento degli organi istituzionali. Napoli, con 96,74 euro pro capite, è quello che spende di più: circa il 10% della spesa corrente complessiva di Palazzo San Giacomo, pari a un miliardo e mezzo di euro, viene utilizzato per l’attività e il supporto agli organi esecutivi e legislativi dell’ente. I costi comprendono le spese relative all’ufficio del sindaco, gli organi legislativi e di governo a tutti i livelli dell’amministrazione (assemblee e Consigli comunali), il personale consulente, amministrativo e politico assegnato agli uffici del primo cittadino e del corpo legislativo, oltre le attrezzature materiali di cui questi uffici si dotano; nel caso di Napoli, le spese comprendono anche i costi per le municipalità.

Se la città offrisse servizi efficienti a cittadini e imprese, quella spesa potrebbe essere persino giustificata. Quasi nulla, invece, funziona e gran parte di quel denaro viene utilizzata per pagare i membri dello staff che sembrano veramente troppi: il sindaco Luigi de Magistris dispone di uno staff di oltre venti persone. Nel frattempo, negli uffici pubblici manca il personale e persino il rinnovo di una carta d’identità costituisce un’impresa titanica. In definitiva, la gestione delle finanze comunali fa acqua da tutte le parti, gli staffisti (che entrano a far parte dell’organico dell’ente senza aver superato un concorso pubblico, ma solo sulla base di un rapporto fiduciario) sono troppi e i dipendenti in servizio negli uffici (che assumono l’incarico solo dopo aver affrontato e superato un concorso) sono troppo pochi.

A questo punto, la domanda sorge spontanea: non c’è una norma che regoli l’assunzione degli staffisti e una che regoli, invece, l’assunzione dei dipendenti comunali? «Sì, è il testo unico sul pubblico impiego che disciplina le assunzioni e il controllo della spesa – spiega Pinto – La norma dice che un’amministrazione comunale può effettuare assunzioni nella misura del 20% del personale già in servizio, ma non specifica quanti lavoratori debbano essere assegnati agli uffici e quanti possano essere inseriti tra gli staffisti. A deciderlo, di volta in volta, è l’amministrazione. Quindi, se il sindaco dice di aver bisogno di un certo numero di staffisti per sé e di un certo numero di collaboratori per ciascun assessore o consigliere comunale, procede autonomamente all’assunzione».

Fatta la legge, trovato l’inganno: le amministrazioni pubbliche presentano, entro il mese di maggio di ogni anno, alla Corte dei conti e alla Presidenza del Consiglio dei ministri il conto annuale delle spese sostenute per il personale. Il conto è accompagnato da una relazione con cui le amministrazioni pubbliche espongono i risultati della gestione del personale. «Il problema principale – dice Pinto – è che il Comune non è tenuto a specificare come sono stati assegnati gli assunti, limitandosi a presentare il rendiconto. In più i dipendenti comunali che lavorano all’interno degli uffici devono presentare una sorta di relazione finale nella quale descrivono il lavoro svolto durante l’anno che successivamente sarà quantificato e valutato. Per gli staffisti, invece, non sussiste questa regola: non c’è alcun controllo sul loro operato, sicché non è dato sapere se lavorino o meno».

Ecco spiegato perché un Comune può effettuare spese pazze e incontrollate senza troppi problemi. Certo, si potrebbe chiedere al sindaco di comunicare quante persone sono state destinate agli uffici pubblici e quante ad altre funzioni, così come si si potrebbe richiedere una relazione finale anche dell’operato degli staffisti. «È necessaria – conclude Pinto – un’amministrazione veramente trasparente che magari, ogni sei mesi, pubblichi il resoconto di come e perché sono state spese le sue risorse, se è stata privilegiata la scuola, la sanità o la parte politica. Il Comune dovrebbe comunicare anche quanti posti scoperti ci sono negli uffici e quali sono le priorità dell’amministrazione. Altrimenti la gestione dell’ente resta opaca».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.