«Sono le 19 e finora non ho ricevuto alcuna notifica. Non conosco il giudice e il personale della cancelleria dell’ufficio di Sorveglianza di Reggio Emilia ma ritengo che siano persone perbene e credo che una decisione così delicata non la comunicherebbero prima a Salvini». Con queste parole l’avvocato Gaetano Aufiero, difensore di Raffaele Cutolo, smentisce l’ex ministro Matteo Salvini che, secondo un’agenzia di stampa, in un post su Facebook aveva scritto «Poche ore fa per fortuna hanno negato la libera uscita a Raffaele Cutolo». Bisognerà quindi ancora attendere per la decisione sulla sospensione dell’esecuzione della pena richiesta dallo storico capo della Nuova Camorra Organizzata dopo oltre 40 anni di ininterrotta detenzione. E il clima che accompagna questa attesa non è privo di commenti e interventi che spaccano l’opinione pubblica su cosa debba prevalere: se il diritto alla salute del detenuto o il peso del nome che porta.
«Cutolo ormai è una bandiera da sbandierare sulla torre della lotta alla criminalità organizzata senza pensare che è un uomo di quasi ottant’anni con seri problemi di salute» afferma l’avvocato Aufiero che ieri, con una memoria di 9 pagine, ha rinnovato al magistrato di Sorveglianza di Reggio Emilia la richiesta di concedere a Cutolo gli arresti domiciliari nella sua casa, a Ottaviano. «Perché – scrive l’avvocato – le patologie di cui è affetto Cutolo sono di assoluta gravità, certamente suscettibili di inevitabile e ulteriore peggioramento a causa della pandemia e quindi difficilmente fronteggiabili in regime detentivo». E lo dimostrerebbe, per l’avvocato, anche il documento con cui l’8 marzo scorso l’ospedale di Parma dimise Cutolo dopo settimane di ricovero, dichiarando che «il paziente è stato dimesso per eventi legati al coronavirus».
«Quindi se dovesse ripresentarsi la necessità di un nuovo ricovero in ospedale così come avvenne lo scorso 19 febbraio, il rischio di morte per il condannato sarebbe altissimo», sostiene la difesa dell’ex capo della Nco che in tema di pericolosità, anticipando un tema che si prevede tra quelli in esame per il nuovo decreto atteso per domani e in cui si potrebbe ritenere necessario per le scarcerazioni anche il parere della Direzione nazionale antimafia, aggiunge che «Cutolo Raffaele è sottoposto a regime di 41bis dal 1992, sei dei quali trascorsi da solo all’interno del carcere dell’Asinara per lui appositamente riaperto. Commise il suo ultimo reato nel 1981, quindi 39 anni fa. Non ha familiari o prossimi congiunti che abbiano commesso negli ultimi 40 anni reati o semplici infrazioni di legge.
Non ha più contatti con l’esterno da circa 40 anni» aggiunge l’avvocato citando fra l’altro l’ultimo decreto in ordine di tempo con cui a Cutolo è stato rinnovato il 41bis. «Sono trascorsi 7 mesi dal deposito del reclamo e ancora si è in attesa di fissazione della relativa udienza. Quel decreto ancòra il giudizio di pericolosità attuale e qualificata a un colloquio in carcere avuto da Cutolo con un volontario della Comunità di Sant’Egidio, colloquio regolarmente autorizzato dalle competenti autorità penitenziarie». Fin qui tutte quelle che l’avvocato Aufiero definisce «inevitabili e ineludibili considerazioni a seguito di recenti e sempre più pressanti polemiche da parte dell’opinione pubblica, organi di stampa, rappresentanti della politica locale e nazionale nonché di taluni magistrati che pure ricoprono ruoli istituzionali di assoluto rilievo».
Basteranno a rendere il diritto alla salute del detenuto prevalente su tutto quello che il nome di Cutolo ancora evoca? C’è grande attesa per le sorti di colui che con gli occhiali dalla sottile montatura in oro e il sorriso sempre a labbra strette è stato protagonista non solo della storia criminale campana ma anche di una buona parte di quella più controversa del Paese. Lui, l’ingegnere, il Vangelo, il camorrista che ispirò il romanzo di Giuseppe Marrazzo e il film d’esordio del regista Giuseppe Tornatore, don Raffaè come nella canzone di Fabrizio De Andrè, il professore per quella capacità comunicativa che fece la forza del suo potere criminale negli anni Ottanta e che oggi pesa sulla possibilità di lasciare il carcere.
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