Conoscete tutti Vittorio Feltri, no? Difficile dire che non sia un gran giornalista, è uno che sa andare controcorrente. Ha iniziato ad andare controcorrente quando era ragazzo, al Corriere della Sera, e ha anche pagato per questo. Allora il Corriere era controllato da un gruppo molto forte di giornalisti legati al Pci – che era in grande ascesa: parlo della metà degli anni 70 e dei primi 80 – e alla sinistra democristiana. Feltri era un inviato di prim’ordine, ma era socialista – più o meno – e comunque anticomunista, e gli fecero la guerra. Fu emarginato.

Poi ne ha fatta tanta di strada. Ha resuscitato giornali morti (l’Europeo, L’Indipendente), ha guidato giornali importanti (Il Giornale), ha creato giornali nuovi (Libero). Sempre con successo e in modo parecchio corsaro. Non si è quasi mai allineato con il potere, sebbene non abbia nascosto qualche simpatia – peraltro evidente – per Berlusconi, negli anni del berlusconismo vincente. Ha scritto tonnellate di articoli che hanno fatto incazzare migliaia di persone. Bene così. I giornalisti seri servono a questo: a informare, a dirti la cosa meno banale, a farti pensare e magari incazzare. Talvolta però – almeno io sono convinto di questo – succede che si crede di essere controcorrente e invece ci si fa trascinare un po’ nel gorgo.

Stavolta Feltri ha fatto incazzare me, per esempio. E la cosa non è molto grave né particolarmente importante. Però sono convinto e straconvinto di avere ragione. E mi va di dirlo. Mi riferisco all’articolo che ha scritto ieri sulla vicenda dell’imprenditore Alberto Genovese. Sapete chi è Genovese – il fondatore di Facile.it, diventato, credo, miliardario – e sapete qual è la vicenda drammaticissima della quale stiamo parlando. Genovese è accusato di avere sequestrato una ragazzina di 18 anni, di averla legata, di averla torturata per venti ore, di averla stuprata, di averla ferita, di avere rischiato di ucciderla. Tutto vero? Figuratevi se posso essere io quello che dà per certe le accuse contro qualcuno. Vedremo come andrà il processo. Gli inquirenti hanno in mano tre elementi robusti di accusa, che non sono né le solite intercettazioni né i soliti pentiti: sono le ammissioni di Genovese, le testimonianze di diverse persone che hanno in vario modo e a vario titolo assistito alla violenza, e poi i filmati ripresi con le telecamere che Genovese aveva in casa.

Feltri ha scritto un articolo nel quale ovviamente non giustifica neppur lontanamente Genovese, però mette alla sbarra altri tre imputati, seppure considerandoli imputati minori: la droga, la ragazza violentata, e addirittura i genitori della ragazza violentata. Ecco, io penso che sbagli clamorosamente. Non emetto nessuna sentenza su Genovese, naturalmente, e aspetto il processo, ma vorrei che l’imputato restasse lui e solo lui: non le sue vittime. Feltri dice che la ragazza, se ha accettato di andare al festino nella villa dell’imprenditore, e se ha accettato di entrare nella sua camera da letto, doveva sapere che poi si dovevano calare le mutandine. Ecco, questa è una vecchia idea maschile – vecchia vecchia – che io credo non stia né in cielo né in terra. Una ragazza, o una donna, o chiunque altro, ha il diritto pieno di fare sesso solo ed esclusivamente quando decide di fare sesso. E come decide di fare sesso. Non deve rispondere a rituali e codici maschili. Nel momento nel quale accetta di uscire con una persona, o di entrare in una casa, o di bere dell’alcool, ha solo deciso di entrare in una casa o bere dell’alcool, non ha deciso di fare sesso con una persona e tantomeno di accettare le sue eventuali violenze.

A me questa idea pare chiarissima. Forse un po’ banale, ma evidente, indiscutibile. Non è una questione di ideologia, e nemmeno di femminismo, è un problema essenziale di valori sui quali, io credo, passa il crinale tra modernità e vecchia società dominata dai maschi. Modernità, insisto su questa parola: modernità. Non si possono stabilire codici morali o di costume basati sull’idea che comunque il maschio è predatore e la femmina è preda, e che dunque la femmina deve sapere che il maschio è predatore, e che ha diritto di esserlo, e che la femmina è preda, e che ha il dovere di esserlo. E dunque o corre via come la gazzella che sfugge al re leone, oppure, se indugia, se sorride, si assume quantomeno metà della colpa di ciò che succede. Non credo che la divisione sia tra pensiero femminista e pensiero laico e liberale: la differenza è tra pensiero moderno e Ottocento.

Sospendo un attimo questo ragionamento – ci torno tra qualche riga – per affrontare l’altra questione. La droga. E lo stile di vita di Genovese. Non solo Feltri ma la maggioranza dei giornalisti e degli opinionisti hanno insistito moltissimo su questo: sullo stile di vita depravato di Genovese, sul suo essere drogato e consumatore di cocaina e forse alcolizzato, e sulla immoralità di tutto ciò. E hanno fatto intendere che un simile soggetto non poteva fare altro che violentare una ragazza e torturarla. Non c’è niente di ragionevole in questa condanna e in questo sillogismo. Genovese non è colpevole di aver bevuto, o di aver tirato coca, o di avere organizzato schiamazzi notturni fino alle ore piccole, o di essere esageratamente godereccio.

Non c’è alcuna colpa in queste cose. Genovese è accusato di aver sequestrato una ragazza, di averla torturata per ore e di averla violentata. L’idea che chiunque tiri la coca o beva troppo alcool debba necessariamente violentare una ragazza è un’idea insensata. Ci sono tantissime brave persone che tirano coca e non si sognerebbero mai di sfiorare una donna non consenziente. Ci sono persone con stili di vita lontanissimi da quelli dei preti benedettini, che non possono tuttavia essere imputati di nessuna colpa. E l’uso della droga non può in alcun modo essere una giustificazione o un’attenuante. Ma neppure una aggravante. Né può essere considerata la causa del delitto. Non è col moralismo che si combatte la violenza maschile sulle donne. La causa del delitto, se il delitto sarà provata, è la violenza dell’autore del delitto.

I dati ufficiali, lo sapete, sono sempre più chiari. Il reato di violenza sulle donne, fino all’omicidio, è tra tutti i reati violenti l’unico che resta a livelli altissimi in tutte le statistiche. Le uccisioni di maschi negli ultimi anni sono scesi in modo clamoroso. Da duemila a duecento all’anno o giù di lì. Gli omicidi che hanno per vittima le donne invece sono fermi da anni, non scendono anzi sono in lieve crescita. Le rapine sono sempre di meno, gli stupri sempre di più. La violenza maschile è sicuramente in termini sociali il più importante dei problemi relativi alla sicurezza. Sono molte più le donne uccise dai loro uomini che le vittime dei reati di mafia. Eppure i giornali, le Tv, i social, i magistrati, vi parlano solo di come si combatte la mafia e di come si fermano i furti negli appartamenti. Perché succede questo?

Vedi, Vittorio, io credo che dipenda molto anche da noi giornalisti. Specialmente da noi giornalisti maschi. Ce ne freghiamo del problema. Sorridiamo. Pensiamo che in fondo la vita è così, è sempre stata così, sarà sempre così. Non è vero. Ed è sommamente sbagliato mettere sotto accusa, seppur bonariamente, una ragazza torturata e violentata da uno dei più importanti imprenditori italiani. Basta poco per cercare di modificare gli istinti dell’opinione pubblica. Bisognerebbe spiegare alla gente che il nemico non è la coca: i nemici sono i maschi violenti e convinti che in fondo la violenza è il loro destino, o addirittura il loro compito.

Avatar photo

Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.