Bastano pochi numeri per capire che il comparto delle costruzioni nel nostro Paese è sotto attacco per lo meno da 10 anni e, soprattutto nell’ultimo quinquennio, è stato oggetto di una sistematica azione demolitrice; significativi sono i seguenti dati:
– oltre 120.000 imprese fallite;
– oltre 600.000 posti di lavoro del comparto edile persi;
– la incidenza dell’intero comparto delle costruzioni nella formazione del Prodotto Interno Lordo dal 14% degli anni 2000 ad appena l’attuale 6 – 7%.
Per dirla in breve nel comparto della edilizia è come se avessimo perso la forza lavoro equivalente, in alternativa, a:
– 60 Ilva (10.000 lavoratori) negli ultimi 10 anni;
– 1 Pernigotti (150 lavoratori) al giorno per ogni giorno degli ultimi 10 anni;
– 1 Whirpool (400 lavoratori) a settimana per ogni settimana degli ultimi 10 anni;

Nel settore dei lavori pubblici è talmente grave l’emergenza che non ha più senso ricercare i responsabili, non ha più senso ricercare i motivi e le cause che hanno praticamente distrutto questo comparto che, come riconosciuto da tutti gli analisti economici, era il motore portante della crescita del Paese. Oggi, quindi, abbiamo solo un obiettivo: evitare che il crollo dell’intero comparto diventi irreversibile; perseguiamo, cioè, un obiettivo che non può accettare interlocutori che utilizzino ancora il fattore “tempo” come strumento risolutore degli interessi di schieramenti politici. Servono interlocutori che perseguano esclusivamente gli interessi del Paese. Spesso, purtroppo, la categoria del “tempo” e in particolare quella del “futuro” vengono invocate per non superare concretamente le emergenze che il Paese vive in un determinato momento storico. La lunga sequenza delle sceneggiature che hanno caratterizzato l’ultimo decennio è finita; è una sequenza che, anche se continuassimo a ripeterla, non ci porterebbe da nessuna parte; è una liturgia che può essere solo utile per impoverire sempre più il comparto dei lavori pubblici e quindi il Paese.

Ebbene, per annullare questa assurda liturgia occorre porre una prioritaria condizione: chi governa deve evidenziare le reali criticità senza prospettare strategie prive del supporto finanziario. Chiediamo all’interlocutore Stato non solo coerenza, non solo trasparenza ma il racconto reale delle criticità e delle problematiche insormontabili legate purtroppo a una scelta compiuta sull’uso delle risorse, sull’uso delle disponibilità finanziarie: aver preferito utilizzare 12 – 14 miliardi l’anno per finalità assistenzialistiche e non per investimenti in conto capitale, per investimenti in infrastrutture, rimane forse la principale concausa del crollo dell’intero comparto. Un cambio di rotta non è rintracciabile neppure nei recenti provvedimenti. Diventa allora non solo urgente ma addirittura obbligatorio che lo Stato dichiari sia come intenda garantire l’avvio concreto di quelle opere più volte dallo stesso Stato denunciate come «bloccate anche se supportate da tutti i pareri autorizzativi e dalle relative coperture finanziarie» – sia quelle opere di manutenzione, di messa in sicurezza del territorio, di riqualificazione delle città che quotidianamente vengono ritenute da tutti indispensabili.

In questo articolato comparto non possiamo continuare a inseguire strumenti normativi del Governo o annunci programmatici della Unione europea senza disporre di certezze finanziarie capaci di rendere possibile l’avvio operativo di contratti, l’avvio operativo di lavori. Viviamo ormai nell’assurda dicotomia:
– Uno Stato che annuncia un bazooka di risorse (55 miliardi di euro); un bazooka che però dispone, come si dirà dopo, nel 2020 solo di 1,133 miliardi di euro;
– Una Unione europea che assicura la istituzione di un Fondo (Recovery Fund) capace di assegnare all’Italia un volano di 172 miliardi di euro, che sarà eventualmente, disponibile nell’inoltrato 2011 e comunque condizionato, a giorni alterni, ad un decalogo di riforme di non facile attuazione.

Riteniamo che vi sia una sottovalutazione delle misurabili tragedie socio economiche che, mese dopo mese, stanno caratterizzando non più e non solo l’intero comparto ma il Paese; temiamo vi sia una sottovalutazione dei tempi reali di rilancio lontani non alcuni mesi ma anni.
Non servono slogan o provvedimenti spot, bensì provvedimenti con caratteristiche strutturali e duraturi in un arco temporale di medio lungo periodo su cui si possa fare programmazione e affidamento. Due sono i presupposti perché possano realizzarsi opere infrastrutturali, nel senso ampio del termine, di cui il Paese necessita per rilanciare i motori della ripresa. Negli ultimi tempi siamo stati indotti a concentrarci sulle “regole” che debbono governare il mercato dei lavori pubblici; già prima del Covid questa esigenza era ben presente e a ragione lo è ora che si prospetta una fase emergenziale più o meno lunga e derogatoria al corpo normativo vigente. Indiscutibilmente le regole, chiare, sono essenziali e decisive per far sì che le intuizioni progettuali si trasformino in opere compiute consentendo l’atterraggio degli investimenti per realizzare opere di qualità con costi e tempi certi di esecuzione. Assieme alle regole servono le “risorse”: senza di queste è inutile programmare alcunché. Abbiamo il sospetto che le risorse non ci siano o comunque non nelle disponibilità annunciate.

Il tempo intercorso tra l’esposizione ufficiale del presidente del Consiglio del decreto legge “Rilancio” e la sua bollinatura da parte della Ragioneria Generale dello Stato ci ha, infatti, preoccupato; mai in passato erano stati necessari sette giorni per dare compiutezza al provvedimento. Questo anomalo arco temporale ci ha quindi fatto ricercare le reali coperture, ci ha fatto analizzare come si perveniva a quel bazooka di risorse pari a 55 miliardi di euro. Ci siamo dedicati a un attenta lettura per individuare le risorse realmente disponibili per “cassa” ed è emerso un quadro da cui si evince che la “cassa” del 2020, quella realmente utilizzabile o quella programmabile, cioè quella del triennio 2020 – 2022 è davvero limitata per non dire inesistente. Abbiamo cioè letto attentamente l’articolo 265 del dl e le relative tabelle che davano le coperture annuali dei vari articoli ed abbiamo appurato che la disponibilità di “cassa” nel 2020 si attesta su un valore pari a circa 1,133 miliardi di euro e nel triennio 2020 – 2022 su un valore pari a circa 1,520 miliardi di euro.

Questa incertezza sulle risorse annunciate e nell’imminenza del possibile arrivo di ingenti risorse europee (Recovery Fund, Sure, Mes) determina la necessità di rimanere con i piedi per terra, perché di tutti i bazooka e liquidità finora annunciati non se ne è vista ancora traccia ed alcun riflesso nella vita dei comuni mortali di tutti i giorni. Da tempo, successivamente all’annuncio di roboanti programmi di investimento si riscontra una minima disponibilità di risorse nei primi anni e un consistente impegno per gli anni futuri, lontani a venire;
Ogni qualvolta ci avviciniamo al traguardo temporale del loro utilizzo vi è sempre un provvedimento che rimodula il piano finanziario sottraendo risorse nell’oggi e attribuendone di maggiori per il futuro;

Occorre condividere e conoscere:
a) La effettiva disponibilità delle risorse nelle singole annualità, rammentando che in base al decreto legislativo 93 del 2016 è possibile utilizzare solo le risorse assegnate per “cassa” nell’annualità o al massimo nel triennio;
b) L’elenco dei Decreti attuativi presenti nei provvedimenti di Legge e fare in modo che gli stessi non siano attivati dopo un arco temporale superiore ai 90 giorni. Un ritardo di tali decreti inficia le finalità della norma stessa e in molti casi la rende addirittura inutile, imponendo spesso una rimodulazione della norma stessa con un provvedimento di Legge successivo;
c) Entro quanto tempo saranno approvati dalle competenti commissioni del Parlamento i Contratti di Programma di Anas e di Rfi 2016/2021; dopo quattro anni dal varo sono ancora lontani dalla definitiva approvazione e in assenza di tale approvazione si bloccano automaticamente circa il 70% delle infrastrutture strategiche del Paese. L’aggiornamento del Programma 2018/2019 è in corso di attuazione nel 2020 (!);
d) Le cause che hanno portato a una parziale attuazione del Programma comunitario dei Fondi di Coesione e Sviluppo 2014 – 2020, in proposito solo un dato: dei circa 53 miliardi assegnati sono stati impegnati contrattualmente solo 15 miliardi e spesi appena un terzo di tale importo;

e) Per quale motivo sono state, di fatto, annullate le coperture presenti nelle ultime tre leggi di bilancio 2018/2019/2020 pari a circa 39 miliardi ripartiti in 11 Programmi di spesa e spalmati in 15 anni. Tali risorse, con il coinvolgimento di Cdp, avrebbero dato un valido supporto alle attività manutentive di interesse locale;
f) I motivi che hanno portato all’annullamento, dopo l’esame del DL “Rilancio” da parte del Consiglio dei ministri, di un importo di 4 miliardi da destinare agli Enti locali;
g) Proprio con riferimento agli Enti locali, quale potrà essere nel secondo semestre di questo anno, l’effettiva spesa per investimenti a fronte delle rilevanti minori entrate registrate a causa della pandemia;
h) Cosa intende fare il Governo delle risorse comunitarie del Fondo di Coesione e Sviluppo allo stato non spese per un importo pari a circa 23 miliardi di euro (Fondi Por e Pon capitoli infrastrutture). Decisione questa da prendere subito in quanto l’Unione Europea a valle della pandemia ha autorizzato l’Italia a rivedere le logiche di utilizzo delle stesse e quindi autorizzando un utilizzo completamente libero da vincoli pregressi;
i) Quali siano le logiche con cui il Governo sta definendo il Programma relativo al Fondo di Coesione e Sviluppo 2021–2027; l’Italia dovrebbe avere un importo globale di 54 miliardi di euro di cui il 25% di competenza della Ue (non più 50%) e il 75% di competenza italiana.

Non vorremmo che tanto impegno, nel disquisire di regole e di procedure autorizzative involute che privilegiano ancora la filosofia del “bollo tondo”, non rappresentasse il classico diversivo per prendere tempo con assise, tavoli e concertazioni infinite e nel frattempo continuare a fare lievitare la spesa corrente e quella assistenzialistica. Le imprese edili sono allo stremo e mai come oggi è in gioco la stabilità del Paese che non può morire di spesa in conto esercizio con una nefasta contrapposizione sociale tra chi opera nella Pubblica Amministrazione e chi opera nel settore privato. Ci stiamo avviando verso una decrescita irreversibile.