L'intervista
Talò: “I servizi lavorano in silenzio, sul caso Almasri fatto ciò che era più utile per la sicurezza nazionale”

Abbiamo incontrato Francesco Maria Talò, ex consigliere scelto dalla Presidente del consiglio, Giorgia Meloni per guidare la regìa diplomatica di Palazzo Chigi all’inizio del suo governo nel 2022. Con lui affrontiamo il tema della diplomazia della sicurezza. «Con un caveat: sui capi dei servizi è meglio non parlare. Ed è bene per tutti: fa parte delle regole del gioco».
Certo. L’intesa sulla Libia, il rapporto tra Roma e Tripoli, voluto da Berlusconi e rafforzato da Minniti, è strategico?
«È assolutamente strategico. Ogni paese che abbia a cuore la propria sicurezza e quella dei suoi cittadini, essenza stessa della ragion d’essere dello Stato e perciò tema etico profondo, fa attenzione ai propri confini e ai propri vicini. La Libia è un vicino grande e importante che presenta almeno tre grandi sfide per la sicurezza nazionale».
Quali sono queste tre sfide?
«La prima è ontologicamente di sicurezza: riguarda il terrorismo. Lo ha avuto sulla costa. Lo ha ancora, in parte. È la nostra frontiera di sicurezza, se teniamo conto che l’Africa è oggi il continente che presenta maggiori preoccupazioni di terrorismo. Due: il tema dell’immigrazione. Tema che presenta anche opportunità, non va demonizzato. Ma oggi è gestito prevalentemente da trafficanti, con ripercussioni anche interne. Tre: il tema dell’energia. Un tema non astratto. Riguarda le singole famiglie, dall’operaio che lavora per una industria energivora fino alla famiglia che deve pagare la bolletta della luce. E allora, se abbiamo questioni di terrorismo, di immigrazione e di energia, direi che la questione libica è una grande questione di sicurezza nazionale».
Ha fatto bene l’Italia a riconsegnare Almasri alla Libia?
«Da quello che posso comprendere come mero osservatore esterno, che segue con attenzione queste questioni, penso sia stato fatto ciò che era più utile per la questione di sicurezza nazionale di cui abbiamo parlato».
Proprio ieri c’è stato un agguato, a Tripoli: Adel Jomaa, ministro di Stato per gli Affari del premier e del Gabinetto, sarebbe stato ferito alle gambe da colpi diretti alla sua auto. La situazione libica è ancora del tutto instabile.
«Purtroppo è instabile da più di un decennio. Bisognerebbe pensare agli errori che sono stati compiuti dall’Europa. Ora spetta soprattutto all’Italia mitigare quegli errori, il che equivale a dire che dobbiamo necessariamente avere a che fare con chi oggi governa quel paese, in un contesto molto magmatico».
È una questione di sicurezza nazionale anche quella di mantenere le relazioni sotterranee, tra apparati di sicurezza?
«Esistono apposta. Ci sono esigenze di sicurezza nazionale che possono richiedere attività di quel tipo».
Cos’è successo con il porto di Misurata? Risulta ormai sotto controllo turco…
«Succede quando si è poco attivi, ci sono vuoti che vengono colmati. Come è successo a Misurata, anche per ragioni legate a certi regimi interni che consentono maggiore velocità di azione. Ma riguarda vaste regioni dell’Africa, non solo la Libia. Ci sono ampie zone oggi sotto la sfera di influenza russa o cinese».
Sul Piano Mattei il governo sta investendo molto. Nel modo giusto?
«Le risorse umane sono quelle più importanti: vale per l’Africa che vive una crescita demografica piena di opportunità, vale per noi anche per un aspetto specifico ma importante per la gestione del Piano Mattei. Non solo è necessario disporre di risorse finanziarie ma ancora di più servono quelle umane per gestire il Piano. Sarà quindi importante l’impegno per far crescere la rete diplomatica in Africa premiando e motivando i giovani che scelgono di avere un’esperienza di vita molto rilevante in paesi difficili dove possono avere grandi soddisfazioni e darle all’Italia».
Anche sotto il punto di vista della diplomazia della sicurezza?
«Certamente: il coinvolgimento degli africani con il vertice che si è tenuto a Roma un anno fa ha cambiato il nostro rapporto con l’Africa. La nostra è una nazione importante, soprattutto se sappiamo fare sistema in chiave europea e occidentale. Da una crescita africana possiamo trarre un grande vantaggio anche sotto il profilo della sicurezza».
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