Nulla di tutto ciò che sta accadendo in queste ore in Turchia ha a che fare con lo Stato di diritto. Osman Kavala, 62 anni, presidente dell’istituto Anadolu Kültür da lui fondato, punto di riferimento prezioso per comprendere la societa civile turca, le minoranze e la loro condizione, è stato prima assolto e poi di nuovo arrestato. La potremmo definire “assoluzione apparente”. È la tecnica usata da Erdogan contro gli avversari politici. Martedì 18 febbraio, la trentesima Corte Penale di Istanbul assolve Osman Kavala dall’accusa di sovversione dell’ordine costituzionale per aver sostenuto le proteste antigovernative del movimento di Gezi nel 2013, ritenuto dal governo turco una organizzazione sovversiva, e poche ore dopo la Procura della Repubblica di Istanbul spicca un nuovo mandato di arresto per Kavala con l’accusa di avere avuto un ruolo di primo piano nel tentativo di golpe del 15 luglio 2016. Il Consiglio Superiore della Magistratura della Turchia ha aperto una inchiesta contro i giudici che martedì hanno emesso la sentenza di assoluzione.

Il processo Kavala è stato fin dall’inizio in palese contrasto con l’ordinamento giuridico vigente in Turchia. L’accusa è surreale. La Corte non ha mai preso in considerazione la documentazione prodotta dalla difesa. Il 10 dicembre 2019 la Corte europea dei diritti dell’uomo ne avevo chiesto l’immediata scarcerazione, ma i giudici turchi, come è successo in altri casi, come in quello del leader del Partito democratico dei popoli, Selahattin Demirtaş, non hanno tenuto conto della sentenza perentoria della Cedu.  Erdogan ha giustificato tale ingerenza politica davanti al suo gruppo parlamentare dell’Akp, sferrando un duro attacco a quella corrente della magistratura rispettosa del dettato costituzionale accusandola di aver messo in atto una «manovra a sostegno dei sovversivi di Gezi». Parlando delle proteste antigovernative del 2013, Erdogan ha affermato che «Soros era dietro le quinte come regista occulto di una trama eversiva come in un golpe» e che «in quelle rivolte nessuno era innocente». Ha puntato il dito anche contro il leader del maggior partito di opposizione Chp per aver sostenuto quelle proteste definite ancora una volta come «un attacco contro i poteri dello Stato, alla stregua di veri golpe».

Appare evidente che nel mondo della magistratura turca vi è una corrente influente più attenta al codice e al dettame della Carta costituzionale che spesso entra in conflitto col potere politico incarnato dal presidente della Repubblica e se la magistratura più vicina all’area “liberal” del Paese emette sentenze non gradite a Erdoğan, quest’ultimo le “corregge” esercitando la sua influenza.
Ma qual è la strategia adottata da Erdoğan in questa lotta intestina tra il potere giudiziario non ancora completamente nelle sue mani e il potere politico all’interno del quale il presidente è l’uomo solo al comando?

L’ex parlamentare del Partito repubblicano del popolo (Chp), Eren Erdem, aveva vissuto la stessa situazione in precedenza. Erdem, difensore dei diritti umani del maggior partito d’opposizione, anch’egli accusato di sovversione dell’ordine costituzionale, aveva condiviso la stessa prigione con Kavala e aveva subito lo stesso dramma. Prima assolto dal Tribunale di Istanbul e dopo poco di nuovo arrestato per un nuovo mandato di cattura dal Procuratore della Repubblica e poi di nuovo liberato. I due casi giudiziari sono molto simili, la tecnica è sempre la stessa: aprire nei riguardi di oppositori molto apprezzati nella società civile almeno due procedimenti penali diversi, in modo che se in uno di essi venisse assolto, scatterebbe subito l’arresto per l’altro. Ed è anche quello che è accaduto anche agli intellettuali Ahmet e Mehmet Altan e a Şahin Alpay.