È scattata subito la vendetta. Matteo Renzi aveva denunciato i magistrati che ne hanno chiesto il rinvio a giudizio per la paradossale vicenda di Open (una fondazione finanziata legittimamente dai privati, e perciò inspiegabilmente messa sotto accusa da un paio di Pm malmessi dal punto di vista della credibilità personale). La magistratura a distanza di pochi giorni gli ha fatto capire chi ha il coltello dalla parte del manico. Nel corso del processo ai suoi genitori per bancarotta, i Pm hanno depositato e resa pubblica (e segnalata ai giornali) una lettera privata di alcuni anni fa di suo padre, molto personale a piuttosto intima, nella quale Tiziano Renzi parlava male degli principali amici personali e politici di Matteo.

La lettera non ha nessunissimo interesse processuale, non c’è neppure l’accenno di un riferimento a eventuali reati, è molto intensa, piena di dolore per la difficoltà dei rapporti tra padre e figlio, e sicuramente appartiene totalmente e assolutamente e esclusivamente alla famiglia Renzi. Non c’entra niente di niente di niente con la giustizia. Però la magistratura ha poteri immensi sulle nostre vite. Del tutto estranei alle indagini, alla ricerca dei reati o alle inchieste sui reati. I magistrati possono entrare nella nostra vita privata e scardinarla, ed esercitare una inaudita violenza, col sorriso sulle labbra, senza neanche chiedere scusa e nessuno può impedirglielo. Raramente giungono al punto di usare i padri contro i figli e viceversa. Per il semplice gusto di punirli e dileggiarli. Talvolta però arrivano anche a questo punto. Lo stile – per fortuna parecchio meno sanguinoso – è quello di Pol Pot.

Magari ormai pochi sanno chi era Pol Pot. Era il dittatore della Cambogia, che dopo aver sconfitto gli americani (in realtà dopo aver approfittato della vittoria militare dei vicini vietnamiti) instaurò negli anni 70 un regime di terrore con mezzi atroci. Pol Pot chiedeva anche ai figli di tradire i genitori e di denunciarli e di scagliarsi contro di loro. E parte delle sue capacità di controllo della società cambogiana si fondava proprio su questo sistema di intrusione e scasso delle vite familiari. Durò molti anni questo regime feroce e infernale. Appoggiato dalla Cina di Deng. Alla fine intervenne l’esercito vietnamita per stroncarlo. Per fortuna. Il paragone forse è un po’ esagerato. È solo di metodo. Oltretutto i magistrati fiorentini non sono riusciti ad estorcere nessuna dichiarazione di papà Renzi contro suo figlio. Si sono vendicati di questo insuccesso mettendo alla portata di tutti la visione di materiale privatissimo.

Interverrà qualcuno per stigmatizzare e fermare questa pratica, che certamente provoca un po’ di vergogna nella parte sana, che esiste, della magistratura (e che, immagino, non farebbe mai cose simili)? Probabilmente non interverrà nessuno. La politica non può, perché in questi anni si è spogliata di ogni potere democratico di controllo sulla casta dei magistrati. E si è sottomessa a loro. Potrebbe intervenire il Consiglio superiore della magistratura, ma da molti anni il Consiglio superiore è alla mercé del partito dei Pm, e il partito dei Pm non molla mai i suoi (né tantomeno i giudici che li assecondano). I Renzi dovranno difendersi con le loro forze. Da soli. E anche Boschi, Bonifazi, Bianchi, Carrai. Oltretutto, di norma, la stampa sta dalla parte dei magistrati. Silenziosa e obbediente. Mai delle vittime.

Scrive Tiziano nella sua lettera: «Marco Carrai è un uomo falso. Bianchi, Bonifazi e Boschi sono una banda bassotti che hanno davvero lucrato senza ritegno della posizione di accoliti tuoi… È dal tempo della provincia che non sono stato messo in condizione di fare un ragionamento completo con te. In questi anni ho avuto la netta percezione anzi la certezza di essere considerato un ostacolo e comunque un fastidio. Come sai gli unici colloqui erano conditi di rimproveri di sfiducie preventive. Non ti scrivo certo per lamentarmi, anzi oggi provo tenerezza per te che malgrado le tue capacità e i tuoi doni vivi la fine di un’epoca». Il riferimento è alla sconfitta nel referendum. La lettera prosegue con parole di protesta e di lamentela e di dolore del padre nei confronti del figlio, e assume anche toni molto duri. Non c’è nessuna ragione per riportarla su queste pagine. Non è necessario fare sempre proprio tutto quello che i magistrati vogliono che tu, giornalista, faccia.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.