Era una notte di fine estate quando Vittorio Senatore, 16 anni appena compiuti, morì sulla statale che collega Salerno a Cava dei Tirreni. Era a bordo del suo motorino e stava tornando a casa a Cetara con il suo gruppo di amici. In pochi secondi lo schianto e subito dopo la corsa in ospedale. Ma per Vittorio non c’è stato nulla da fare, è morto il 15 settembre 2019. Un anno dopo il giudice ha archiviato il caso come incidente autostradale. Ma Monica Ferraro, 47 anni, biologa, e Domenico Senatore, 50 anni, ingegnere, mamma e papà di Vittorio non si danno pace: “Nostro figlio non è morto per un semplice incidente stradale, troppe cose non tornano. Vogliamo sapere la verità, ci siamo stancati, si tratta di omicidio stradale”, dicono.

Da subito si pensò che Vittorio fosse l’ennesima vittima di un’incidente stradale su un tratto di strada molto frequentato e tortuoso. Ma dopo il funerale al papà cominciarono a venire tantissimi dubbi dopo aver visto il motorino di Vittorio riconsegnato ai genitori dopo l’incidente. “C’era appena qualche graffio, come era possibile se lo schianto era stato talmente forte da comportare la more di mio figlio?”.

Poi c’era anche un’altra questione: “L’amico di mio figlio che era con lui sul motorino dichiarò di non ricordare nulla di cosa fosse successo – racconta papà Domenico – fu portato anche lui in ospedale ma riportò solo un ematoma sul sedere e 7 giorni di prognosi, praticamente nulla. Com’ era possibile che invece mio figlio era morto sul colpo? Intanto nessuno degli altri ragazzi presenti ricordava più nulla”.

A quel punto Monica e Domenico sono andati in ospedale per leggere cosa c’era scritto nella cartella clinica. “Scopriamo che nostro figlio è morto per emorragia interna dovuta a schiacciamento del fegato dovuta a sormontamento – continua Domenico – Aveva un ematoma longitudinale che per il nostro medico legale era compatibile con una ruota di un motorino. Vittorio ha avuto il rene completamente staccato dalla cavità addominale e questa cosa non si può verificare con un urto”.

A questo si aggiunge che Monica e Domenico non sono mai riusciti ad avere i vestiti che Vittorio indossava quella sera. “Per noi sarebbero stati una prova importante, sulla maglietta potevano esserci le tracce della ruota che ha travolto nostro figlio – continua Monica – e invece abbiamo avuto solo le scarpe, nuove, senza nemmeno un graffio come il motorino”.

“A luglio 2020, con la chiusura delle indagini, scopriamo che il medico legale la notte dell’incidente scrisse che Vittorio era morto per un politrauma dopo essere sbattuto contro un muretto – continua Domenico – Invece nella relazione della polizia intervenuta quella notte scrissero che si escludeva l’alta velocità considerato che il motorino non presenta lesioni e non ci sono segni di scarrozzamento. Poi sempre in quella occasione scoprimmo che il magistrato quella notte aveva disposto un’autopsia che però non è mai stata fatta. Siamo stati noi a chiedere di farla riaprendo il nostro dolore. Anche i ragazzi testimoni sono stati sentiti 10 mesi dopo, cosa potevano ricordare?”.

“Un ingegnere nominato dalla Procura asserì che secondo i suoi calcoli Vittorio viaggiava a una velocità di 97 kmh – continua il papà – Io sono ingegnere, ho rifatto i calcoli seguendo la stessa formula ma mettendo la giusta pendenza che invece il tecnico aveva sbagliato. Così si arriva a una velocità calcolata di 57 kmh. A 100 kmh non ci arriva nemmeno una Ferrari in queste strade! Vittorio non correva e per questo motivo il suo motorino non riportava danni”.

Dopo un anno il magistrato decide di archiviare il caso. “Noi crediamo che nostro figlio è stato schiacciato, non accusiamo nessuno, vogliamo solo sapere com’è andata. Il giudice ha archiviato senza dare alcun motivo, ci dia almeno una risposta. Ora possiamo solo fare in modo che si riaprano le indagini con nuove prove che stiamo cercando. Ma noi non ci arrendiamo e andiamo avanti. Vittorio da lassù saprà illuminare i nostri passi”, conclude mamma Monica.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.