Dice il segretario del Pd che «12 mila sono sempre meglio di due». Dove “i due” sarebbero i leader del centrodestra che chiusi in una stanza decidono i candidati sindaco per le amministrative. E i 12 mila sono invece i torinesi del centrosinistra che sabato e domenica sono andati ai gazebo con 35 gradi per decidere chi sarà lo sfidante del candidato di centrodestra, l’imprenditore Damilano. Ha vinto Stefano Lorusso, capogruppo Pd in consiglio comunale, molto vicino a Piero Fassino, un anti Appendino della prima ora, particolare che certo non aiuterà a scaldare i cuori dell’elettorato Cinquestelle in un eventuale ballottaggio con il centrodestra. Lorusso ha vinto sul civico Francesco Tresso con 300 voti di scarto. Ma quel che è peggio è che a votare sono andati 11.631 elettori.

I maligni fanno notare che si tratta di «4 mila voti in meno delle firme raccolte per i quattro concorrenti», un dato da cui conseguono dubbi sull’attendibilità di quella raccolta firme. Enrico Letta non ci sta e spiega: «Con il Covid tutte le attività in presenza stanno ripartendo con lentezza e diffidenza». Possibile. Sufficiente comunque a far scattare l’allarme primarie al Nazareno. Domenica prossima, il 20, si voterà a Bologna e a Roma. Se si dovesse ripetere il crollo dell’affluenza ci sarebbe un problema in più per il segretario che infatti ha messo in campo truppe e motivatori per spingere la gente ad andare ai gazebo e a votare on line. Giugno non è una stagione facile di per sé. Ed è possibile che il Covid abbia influito. Ma le preoccupazioni sono fondate e poggiano su una constatazione – le primarie sono un rito stanco – e una domanda: come s’intrecciano le primarie del centrosinistra con il “cantiere delle alleanze politiche” aperto dal segretario Letta con i 5 Stelle di Giuseppe Conte?

A Torino in realtà si è rischiato il colpo di scena. Lorusso era il candidato dato per vincente e anche un po’ scontato. Docente universitario, Pd prima maniera, uno a cui non è mai andata giù la vittoria di Chiara Appendino cinque anni fa e che ieri ha già detto di voler «allargare il campo alle forze riformiste come Italia Viva e Azione». Non se ne parla cioè di allacciare rapporti con i grillini. Francesco Tresso era il civico di centrosinistra con cui invece sarebbe stato possibile ipotizzare di ricucire con il Movimento o almeno una parte di esso. «Lorusso ha uno scarto di trecento voti rispetto a me dunque non può pensare di poter decidere tutto da solo» ha avvertito Tresso. Il tutto mentre Chiara Appendino, sindaca uscente, e i due possibili candidati pentastellati (Valentina Sganga e Andrea Russi) ribadiscono in ogni occasione che «non ci sono le condizioni per immaginare di riunire le forze in un eventuale ballottaggio». Si sa, a Torino i 5 Stelle sono andati in frantumi ben prima che in altre regioni per loro “storiche” come l’Emilia Romagna e la Liguria.

Da mesi Appendino non ha più, nei fatti, la maggioranza. Dunque una cosa sola è certa: il cantiere Conte-Letta in questa città ha scarse, per non dire zero, possibilità di riuscita. Poi le vie del Signore sono infinite e da qui ad ottobre mancano almeno tre mesi di campagna elettorale. Da registrare che anche Torino ha seguito la tendenza: neppure una candidata donna. Il prossimo fine settimana è la volta di Roma e Bologna. La prima preoccupazione di Letta è l’affluenza: i cittadini ai gazebo sono il miglior spot per la salute del partito. Altro che sondaggi (Ipsos) che danno il Pd primo partito con Lega e Fratelli d’Italia che tallonano a meno di un punto percentuale. Letta ha esultato: «Erano quattro anni che non ci davano prima forza del paese». Ma questo è marketing politico che lascia il tempo che trova. Ben diverso messaggio sarebbe vedere gente in carne ed ossa in fila ai gazebo. Il Nazareno rischia l’osso del collo nella Capitale. Qui è abbastanza forte la sensazione che si tratti di una consultazione “finta” visto che tutto è già stato deciso. In ogni modo vincerà Roberto Gualtieri e tutti gli altri – Stefano Fassina, Tobia Zevi, Emma Battaglia, Giovanni Caudo, l’ex grillina Cristina Grancio e Paolo Ciani – saranno utili a misurare la forza delle singole posizioni. Scontato il vincitore, sarebbe dura cadere sull’unica variabile non controllabile: l’affluenza.

La battaglia di Roma resta quella decisiva anche per il futuro della segreteria Letta: l’obiettivo minimo è arrivare al ballottaggio. Quello successivo convincere almeno una parte dei 5 Stelle a convergere sul Pd al secondo turno. Irrecuperabile, per Letta, sarebbe se Virginia Raggi dovesse escludere Gualtieri dal ballottaggio. O se questo ruolo toccasse a Carlo Calenda, l’outsider con cui il Pd non è riuscito a trovare un accordo proprio per dare priorità a Conte e ai 5 Stelle. Che poi se ne sono andati da soli. L’unica città dove probabilmente non servirà spingere elettori ai gazebo è Bologna, l’unica in cui le primarie decidono veramente il perimetro della coalizione.

La corsa sarà a due tra Matteo Lepore, l’ex assessore della giunta Merola, che “parla” alle Sardine, alla sinistra-sinistra e ai 5 Stelle e Isabella Conti, la candidata centrista, due volte sindaco con percentuali bulgare a S. Lazzaro in Savena che Matteo Renzi buttò nella mischia a marzo invitando Letta a cercare l’accordo su «questa sindaca capace, trasversale e amata». Così amata che una fetta di prodiani, del Pd regionale (l’eurodeputata Gualmini ha fatto outing da tempo) ha già detto di voler sostenere. Sarà un voto a geometria variabile quello di Bologna: se vince Lepore passa lo schema Pd-sinistra-5Stelle; se passa Conti va avanti l’alleanza che guarda ai riformisti e al centro, ad Azione e a Italia viva. Dalla competizione infatti è rimasto fuori l’ex assessore di Base Riformista. Il vero laboratorio del Pd è quindi Bologna.

Nelle altre città le primarie sono state cancellate. Napoli è l’unico comune al voto dove regge in qualche modo l’alleanza Letta-Conte. Il candidato unitario è l’ex ministro all’Università Gaetano Manfredi, ex presidente della Crui, che se la vedrà contro il magistrato antimafia Catello Maresca, candidato del centrodestra. Manfredi ha condizionato la propria candidatura alla promessa di un “Patto per Napoli” che sgombri il tavolo dalla variabile dirimente: una legge speciale per sanare il comune dal default.

A Milano la partita è tra l’uscente Sala che sotto il vessillo dei Verdi europei ha messo tutti d’accordo e il candidato ancora fantasma del centrodestra. Salvini dovrebbe sciogliere la riserva in settimana. Ancora nulla di fatto in Calabria dove il vicesegretario del Pd Provenzano e la sinistra hanno fatto fuori il candidato riformista Nicola Irto, 39 anni, su cui invece hanno puntato molti giovani calabresi. Ma questa è la storia del Pd calabrese. Che merita essere trattata a parte.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.