La palla è stata fatta correre nell’inseguimento del recovery plan, un piano di rilancio proposto dalla Francia, di cui l’accordo dice poco e male. Né si capisce come quel che è stato rifiutato ieri possa essere accolto domani, dopo che il fronte degli Stati che si era costituito per ottenere gli Eurobond si è disunito. La Francia di Macron è tornata a privilegiare il suo asse storico, l’alleanza con la Germania e perfino la Spagna del governo delle sinistre si è ritirata dalla contesa. Il governo italiano ha fin qui mantenuto la richiesta che era quella comune di tutto il fronte, ma è rimasta isolata e al suo interno si vede affiorare la tendenza di accettare “quel che passa il convento”, provando a mitigarne le conseguenze più allarmanti.

Il rinvio sulla discussione sul recovery plan non è peraltro neppure neutrale, infatti bisognerebbe ora risalire alla corrente che ha portato al pessimo accordo dell’eurogruppo in una condizione politica nel rapporto tra gli Stati più difficile di quello che lo ha preceduto. È l’Europa reale che prende ancora una volta il sopravvento sull’Europa possibile e ora, alla luce dell’emergenza, persino assolutamente necessaria. Se quest’ultima risultasse sconfitta, bisognerebbe riprendere la riflessione sulla struttura dell’Ue, sul suo deficit democratico, sulle sue forme di governo e sulle sue esclusioni. Si allungherebbe, così, certamente, il cammino, ma è inevitabile, dopo una sconfitta. Se si è dovuto pensare al ricorso agli Eurobond è anche perché la Bce, diversamente dalla Federal affair e dalla Banca d’Inghilterra, non stampa moneta, e perché l’Europa patisce le conseguenze politiche della separazione della Banca centrale del Tesoro.

Dunque, può essere che sia necessario fare un passo indietro per farne due avanti, senza dimenticare però che il passo indietro non è una scelta, ma è imposto da una sconfitta, e che i due passi avanti sarebbero tutti da fare e certo non in una condizione politicamente favorevole. Se l’Europa possibile e necessaria, anche in questa occasione, risultasse sconfitta – come purtroppo sembra probabile – bisognerà ragionare a fondo anche sulle sue ragioni, sul perché possa darsi una così drammatica contraddizione tra la maturità storica di una svolta e la sua negazione nella realtà concreta.

Sarà necessario farlo anche per sottrarsi all’occupazione dell’intera scena politica europea di una dialettica regressiva tra i neoconservatori dell’Europa reale e i sovranisti di ogni genere e specie alla ricerca di uno Stato nazionale sovrano che non c’è mai stato, né può esserci, se non all’interno di un determinato e storicamente definito conflitto di classe. Forse allora a un nuovo ciclo di quest’ultimo su scala europea ci si dovrebbe rivolgere e ci si dovrebbe pensare.

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Politico e sindacalista italiano è stato Presidente della Camera dei Deputati dal 2006 al 2008. Segretario del Partito della Rifondazione Comunista è stato deputato della Repubblica Italiana per quattro legislature ed eurodeputato per due.