L'intervista
Angelo Bolaffi: “Il problema non sono i tedeschi ma noi”
«In Europa non c’è un caso tedesco, semmai esiste un caso italiano. Oggi i veri “keynesiani” sono i tedeschi». A sostenerlo, in questa intervista a Il Riformista, è Angelo Bolaffi, filosofo della politica e germanista, dal 2007 al 2011 direttore dell’Istituto di cultura italiana a Berlino, autore di numerosi saggi tra i quali ricordiamo: Il sogno tedesco. La nuova Germania e la coerenza europea (Donzelli, 1993), Cuore tedesco. Il modello Germania, l’Italia e la crisi europea (Donzelli, 2013), Germania/Europa. Due punti di vista sulle opportunità e i rischi dell’egemonia tedesca (con Pierluigi Ciocca, Donzelli 2017) e il più recente Calendario civile europeo. I nodi storici di una costruzione difficile (Donzelli, 2019).
Professor Bolaffi, esiste in Europa un “caso tedesco”?
No, esiste un caso italiano. Nel senso che un Paese come il nostro, che è la settima potenza industriale al mondo e la seconda in Europa, si presenta con un debito pubblico che è il doppio del Pil. A ciò si aggiunga che l’Italia è un Paese che ha sempre bisogno di profondissime riforme, un Paese che ha mancato la grande occasione di autoriformarsi, che si era presentata con la globalizzazione dell’economia dopo la caduta del Muro di Berlino. Oggi questa globalizzazione entra in crisi ed eleva al quadrato le difficoltà dell’Italia, che sono amministrative, economiche ma soprattutto politiche.
C’è chi ha rappresentato quello tra i Paesi dell’eurozona come uno scontro tra le “formiche” del Nord e le “cicale” del Sud, tra le quali l’Italia.
Questo è un racconto che ci facciamo in funzione autoconsolatoria, visto che gli italiani sono i veri “protestanti”…
Nel senso?
Nel senso che il risparmio italiano è il più alto di tutta l’eurozona. Quindi il problema non è “formiche” contro “cicale”, ma Stati finanziariamente solidi e Stati finanziariamente deboli. Il racconto della Germania che odia i debiti è smentito dal fatto che di fronte a questa crisi, ha messo in campo 1.000 miliardi: si tratta di un tipo di debito, come fanno gli italiani, per finanziare la spesa corrente e i debiti fatti per contrastare una crisi vera. I veri keynesiani sono i tedeschi, gli altri sono “keynesiani all’amatriciana”.
Professor Bolaffi, ma la “madre di tutte le battaglie” ai tempi del Covid-19, al di là dell’aspetto sanitario, è quella degli Eurobond?
Quando gli storici racconteranno come i governi europei si sono divisi e scontrati sul tema Eurobond, scopriranno che una parte della classe politica italiana ha usato questo tema strumentalmente per poter dimostrare ciò che avevano deciso già all’inizio, vale a dire di non volere l’Europa. Come Lorenzo Bini Smaghi ha lucidamente raccontato, quello degli Eurobond è un falso obiettivo, perché politicamente non ottenibile, e dal punto di vista finanziario anche molto difficile da realizzare. Se l’Italia avesse voluto realmente sparigliare a livello europeo, avrebbe dovuto chiedere solidarietà senza l’inutile provocazione degli Eurobond, che mette oggettivamente in difficoltà altri governi europei che debbono anch’essi fare i conti con i populisti dei loro Paesi.
Come valuta il comportamento assunto in questa fase dalla cancelliera Merkel?
Da un punto di vista “astrologico”, ciò di cui bisogna prendere atto è che quello che sarà forse il semestre decisivo per il futuro dell’Europa, sarà sotto il segno di due donne tedesche: la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e la cancelliera Angela Merkel che presiederà il semestre che inizierà il 1° luglio e la cui conclusione di fatto segnerà l’uscita dalla scena politica tedesca ed europea della cancelliera Merkel. Quale sarà il testamento politico che lascerà Angela Merkel? Una Europa in rovina o una Europa che si apre definitivamente al XXI° secolo?.
Questa Europa che si dovrebbe aprire al XXI° secolo deve comunque fare i conti con il fardello dei Paesi dell’Est…
Non è solo un fardello. È un pericolo. Oggi noi tutti siamo giustamente preoccupati dalla pandemia, dalle morti e da una minacciosa futura crisi economica. Ma la minaccia più grave al valore centrale del progetto europeista è l’attacco alla democrazia e ai valori costituzionali portati dai governi ungherese e polacco. Anche qui è chiamata in causa la Germania della cancelliera Merkel, perché Orban (il premier magiaro, ndr) fa parte del Partito popolare europeo le cui decisioni dipendono in larga misura dalla Cdu tedesca e dalla consorella bavarese. Finora la Merkel e il Ppe hanno traccheggiato, ma con le ultime decisioni, Orban ha varcato il Rubicone, portando un attacco ai valori democratici e liberali. E questo è intollerabile.
Nulla sarà più come prima, si ripete come un mantra in questo drammatico frangente. In chiave europea, cosa può significare?
Può significare che se da questa crisi non si esce con almeno un passo in avanti verso una maggiore integrazione, che significa anche maggiore solidarietà, l’effetto di rinculo sarà terribile, si andrà verso una disintegrazione.
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