David Piachaud – che insegna Politiche sociali alla London School of Economics – sostiene che gli impegni assunti sui diritti dell’infanzia non debbano essere cercati solo nelle leggi, nelle dichiarazioni o nei programmi politici ma vadano “cercati, prima di tutto, nei bilanci”. Conoscere quanti soldi ci sono in casa a disposizione dei figli per prendersene cura, farli studiare, vestirli, alimentarli – in una parola, farli crescere – è fondamentale in ogni famiglia. Lo stesso deve essere possibile anche per la comunità nazionale. Lo afferma l’art.4 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. E lo rimarca nella Raccomandazione “Investire nell’infanzia”, la Commissione Europea: “Investire nell’infanzia”, si legge “è un elemento fondamentale in termini di benessere e sviluppo dell’intera comunità”. Ma quanto spende l’Italia per l’infanzia e l’adolescenza?

Secondo il monitoraggio delle risorse dedicate all’infanzia e adolescenza tra il 2012 e il 2018, predisposto dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, DisOrdiniamo, “rispondere a questa domanda non è facile”: la mancanza di “strumenti e metodi condivisi” per la rendicontazione dei flussi finanziari pubblici relativi alle politiche d’infanzia “rende difficile conoscere con certezza l’entità del bilancio destinata all’infanzia e all’adolescenza”. Tanto che il Rapporto sceglie “invisibilità” come parola chiave per indicare “l’impossibilità di determinare con precisione – all’interno dei capitoli di spesa del bilancio dello Stato – i fondi destinati all’infanzia e all’adolescenza”. A maggior ragione perché si tratta di risorse parcellizzate (in larga parte) tra il Ministero dell’Istruzione e quello del Lavoro, a parte quelle riferibili al Ministero delle Politiche sociali, alla Giustizia e alla Salute. Qualche numero, però, il rapporto lo fa ed è quello relativo alla spesa complessiva per l’infanzia e l’adolescenza, registrata nel 2017: ammontava a circa 51.651 milioni di euro, pari a 5.212 euro per ogni bambino o adolescente.

Ma quanti sono cinquemila euro a bambino? “Pochissimo”, secondo Luisa Pola, avvocata, specializzata in diritto minorile e di famiglia, che spiega: “Pensi alla complessità dei casi concreti, per esempio, a un minore in situazione di difficoltà familiare, segnalato al Tribunale per i minorenni (dai servizi sociali o dalle forze dell’ordine) per il quale si apra un procedimento di adozione o di sospensione della responsabilità genitoriale. In questo caso, intervengono numerosi operatori e dovrebbero essere messe in campo numerose ‘risorse’ da soggetti statali differenti: innanzitutto i servizi sociali, che opereranno nel riferire al Tribunale e nel monitorare la famiglia o apportare alcuni interventi di supporto; il Tribunale stesso con l’apertura di un procedimento e la messa in campo di risorse, la nomina di un curatore speciale e/o di un tutore. Non solo: i genitori potrebbero avere diritto al patrocinio gratuito (altro costo in capo allo Stato) e il minore potrebbe essere allontanato dalla famiglia, da solo o con un genitore, in questo caso deve intervenire il Comune di riferimento che si dovrà fare carico della spese”.

Ma purtroppo i Comuni, specie i piccoli centri, non hanno soldi: “Spesso”, prosegue infatti Pola, “ho dovuto combattere con i servizi sociali perché restii a predisporre allontanamenti in strutture di minori, proprio perché il bilancio del Comune non era in grado di farvi fronte”.
Un fragilissimo gioco di equilibri che termina bene, dunque, solo in presenza di “uomini e donne di buona volontà e di buon senso”. Un po’ poco se pensiamo alla posta in gioco: diritti personali di rango costituzionale relativi a minori che, in quanto tali, sono estremamente vulnerabili e meritevoli di una tutela rafforzata. Con quali strumenti proteggerli, dunque? Secondo Pola, intanto, con “una adeguata formazione giuridica sul diritto minorile degli operatori pubblici: servizi sociali, assistenziali, sanitari e forze dell’ordine”, ma anche con una “cooperazione multidisciplinare, in grado di realizzare una sinergia tra i diversi operatori pubblici attraverso, per esempio, banche dati accessibili agli operatori, precisi protocolli, procedure operative standard”.

Ora, “con la legge delega 26.11.2021 n. 206 per l’efficienza del processo civile”, precisa la legale, “il governo è chiamato a istituire un nuovo tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie: una svolta radicale con cui il legislatore ha cercato di superare il vecchio sistema nel quale la materia minorile e della famiglia era (è) polverizzata in riti differenti davanti Tribunali differenti, il Tribunale ordinario, il Tribunale per i Minorenni e le Corti di Appello”. Ma, c’è un ma, purtroppo: “Non è prevista alcuna iniezione di risorse economiche per supportare questa nuovo assetto, il che nella sostanza significa che tutte queste belle novità rimarranno lettera morta”. Come è possibile? “Lo è”, prosegue l’avvocata, “visto che noi non abbiamo neanche lacrime per piangere: nella mia personale esperienza, al Tribunale per i Minorenni di Venezia, c’è una endemica mancanza di risorse.

Mancano magistrati, cancellieri e personale di segreteria. Persino la carta per fotocopiare. Questo significa che procedimenti, anche urgenti, restano incagliati per anni”. E dunque “che molti bambini o adolescenti possano rimanere per anni presso strutture o case famiglia, quando avrebbero il diritto di tornare dai propri genitori, o essere dichiarati adottati o dati in affido”. Il prezzo che paghiamo è, dunque, altissimo e “una riforma in cui il costo del minore non sia coperto”, manca quantomeno di lungimiranza: “Quel costo diventerà in futuro a carico dello Stato, perché quel ragazzino inizierà – con ogni probabilità – a delinquere”.

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Ho scritto “Opus Gay", un saggio inchiesta su omofobia e morale sessuale cattolica, ho fondato GnamGlam, progetto sull'agroalimentare. Sono tutrice volontaria di minori stranieri non accompagnati e mi interesso da sempre di diritti, immigrazione, ambiente e territorio. Lavoro in Fondazione Luigi Einaudi