Scintille tra Nicola Zingaretti e Carlo Calenda all’indomani della sua candidatura a sindaco di Roma. Il segretario Dem è cauto: «Corra alle primarie». L’interessato non ne vuol sapere: «Il Pd non ha un candidato forte e credibile, deve accontentarsi di me». Ma la realtà è che guarda oltre. Sa che questa campagna elettorale sarà sui generis, più giocata sulla visibilità mediatica acquisita dal candidato che sulle strette di mano e sulle iniziative sul territorio. Il terreno su cui i Dem sono tradizionalmente forti frana sotto i colpi del Covid. E anche la primavera (si voterà tra il 15 aprile e il 15 giugno) si indovina in regime di profilassi sanitaria. Servono volti già noti, blockbuster televisivi.

Meglio ancora se alla popolarità uniscono una personalità forte, un’esperienza amministrativa e una competenza istituzionale che fanno dell’ex ministro dello Sviluppo economico, romano doc, il profilo ideale. A Zingaretti lo sottolinea uno dei padri nobili del Pd, Pierluigi Castagnetti: «Calenda sarebbe una benedizione per la città. Il Pd promuova un bel triduo di ringraziamento». Altroché primarie, si parta con convinzione, insomma. Calenda, d’altronde, non ha intenzione di perderci tempo e lo chiarisce con il Riformista: «Chiedo il voto a tutti i cittadini romani, senza rinchiudermi in un campo identitario». Non il voto del Pd ma il voto degli elettori che avevano votato anche Pd. Nella competizione per il Campidoglio è convinto di avere perfino più peso riuscendo a svincolarsi da subito dalle liturgie dei caminetti che, tra una benedizione e un veto, hanno sempre orientato la corsa per il Campidoglio. E invece vuole misurarsi con la competizione per la Capitale, da subito, «perché quella di Roma è una grande sfida di buongoverno e dunque prima di tutto amministrativa e gestionale».

Assicura di avere le carte in regola per lavorare ai dossier che scottano, mentre non lo appassionano le vicende politicistiche interne: «Gestire le situazioni complesse, governare le criticità: è quello che so fare e che mi piace fare. Ho sempre pensato che la buona gestione, contrariamente a quanto si crede, è la massima espressione della politica». E poi, perché entrare nel perimetro stretto, nel recinto del confronto interno e intorno ai Dem, con le primarie solitamente teatrali, dove sin troppi episodi comprovano i limiti dello strumento? Il leader di Azione guarda oltre gli steccati. «Bisogna andare oltre a qualsiasi scontro ideologico, oggi sempre più vuoto di significato. Destra e sinistra non riescono a implementare più alcun provvedimento». E vanno superati con un progetto che mira ad amministrare Roma facendo i conti con le potenzialità e le aspirazioni di una grande capitale internazionale.

Più Europa con Emma Bonino e Riccardo Magi lo sostengono, come pure Matteo Renzi e Italia Viva. Le primarie non li appassionano. Magi fa notare come «fino alla scorsa settimana, prima che Calenda si candidasse, il Pd non aveva mai risposto alla richiesta di primarie che in molti avevamo avanzato. Non è mai stata convocata neanche una riunione», ci dice. Italia Viva è d’accordo: «Il Pd usa la carta delle primarie dopo averle messe in naftalina per un anno solo per ostacolare la possibile candidatura del leader di Azione, quando è lui l’uomo giusto per risollevare Roma. Ma i dem lavorano al matrimonio stabile con il M5S, persino nella capitale distrutta da cinque anni di giunta Raggi. Dopo la candidatura di Calenda il Pd deve fare proprio il suo nome, perché con lui il centrosinistra può vincere e governare in Campidoglio», aggiunge Luciano Nobili.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.