La figura di Francesco Forte riassume su di sé un tratto fondamentale della classe dirigente della Prima Repubblica. Infatti della temperie del dopoguerra rappresenta quella generazione di uomini che intendevano riscattare quella dei padri caduti nella trappola del totalitarismo fascista. Giovanissimo brució le tappe della educazione universitaria: divenne assistente universitario del valtellinese Ezio Vanoni, il ministro delle Finanze del governo De Gasperi, l’artefice delle politiche economiche virtuose che grazie al Piano Marshall contribuirono al conclamato boom economico degli anni 60.

Successivamente a Torino ricopre la cattedra di Scienza delle Finanze che fu di Luigi Einaudi, il suo mentore, a cui si ispirò in tutta la sua vita e in tutti i suoi scritti. Un liberalismo purissimo che Forte contaminò con l’attrazione giovanile verso il Socialismo Italiano fonte della sua ispirazione politica che lo condusse a iscriversi al partito socialista anche qui, molto giovane. Il suo sapere scientifico, la dottrina liberale di cui era portatore, fu messo a disposizione della nascente moderna azione del socialismo italiano. Pur non avendo partecipato direttamente alla svolta politica del Midas, Francesco Forte ne fu attratto dapprima svolgendo il ruolo di responsabile economico del Partito Socialista successivamente ricoprendo un ruolo di primo piano, a partire dal 1982 all’interno dei governi a cui il Psi aderì nella seconda fase del Centrosinistra, detta più comunemente del “pentapartito”. Di nascita varesina, sebbene lungamente egli mantenne il proprio legame con la città di Torino, fu eletto deputato nel collegio di Como-Sondrio-Varese e poi successivamente, come il suo maestro Vanoni, fu senatore di Sondrio e non senza vezzo, agli inizi degli anni 90, si fece eleggere anche sindaco di Bormio, lui così amante della montagna e delle valli lombarde.

Forte aveva una capacità straordinaria di lettura della realtà economica del paese alla quale tuttavia cercava di adattare l’elemento sostanziale della dottrina alla realtà, senza abusarne attraverso cocciuti imperativi che spesso sono il freno e il condizionamento dei teorici del pensiero economico. La libertà era il segno distintivo del proprio pensiero: libertà dal bisogno, libertà dell’intrapresa, libertà dell’individuo senza che essa determinasse degli squilibri o, peggio, degli irrimediabili divari fra ricchi e poveri. Aveva affrontato da economista liberale la complessa vicenda dell’indebitamento dei paesi del terzo mondo e quella fu probabilmente l’esperienza più edificante, sul piano politico e dottrinario, di Forte. In una prima fase egli coordinò dalla Farnesina gli aiuti italiani in direzione dei paesi aggrediti da debiti e fame attraverso il Fai – fondo aiuti italiani – il progenitore della più strutturata cooperazione italiana oggi divenuta una vera e propria branca del ministero, successivamente fu l’amanuense tecnico ed economico del “Rapporto Craxi” alle Nazioni Unite che fu presentato all’assemblea e votato su mandato del segretario generale dell’epoca Perez de Cuellar nel 1991.

I due socialisti democratici e liberali riuscirono nell’impresa, per nulla semplice, di imputare ai paesi ricchi e al fondo monetario le ragioni dello strangolamento economico dei paesi del terzo mondo, insistendo come faceva Forte, nella necessità di mettere sullo stesso piano creditori e debitori valutando la convenienza economica e liberale, nonché politica, di togliere il cappio al collo delle nazioni più indebitate al fine di sprigionare, agli albori della globalizzazione. Sin qui il Francesco Forte “politico”, non fu travolto dall’inchiesta di mani pulite ma soltanto lambito: lo ricordo personalmente terrorizzato a tal punto che per autodifesa aderì alla corrente dei rivoltosi anti-Craxi che si era riunita velleitariamente per restituire “l’onore ai socialisti”: mio padre gli tolse il saluto. Salvo poi, Francesco , esser stato negli ultimi anni uno dei maggiori contributori intellettuali alle attività di memoria e di studio della Fondazione Craxi. C’é un Francesco Forte infine più nascosto: fu egli stesso a rivelare che Pasolini nel suo romanzo “Petrolio” si ispiró a lui. Il poeta drammaturgo dedicò il romanzo, una specie di giallo, alla misteriosa scomparsa di Enrico Mattei; Francesco Forte fu un giovane dirigente dell’Eni che, animato da una robusta spinta etica, denunciava internamente le magagne del grande ente internazionale che si occupava di ricerca e sfruttamento petrolifero; Carlo era il protagonista del romanzo di Pasolini, il giovane teorico dell’economia sociale di mercato che contestava dall’interno la gestione della presidenza Girotti dell’Eni.

E’ probabile che il poeta avesse una talpa all’interno del palazzo dell’Eur, e gli riferisse l’azione del giovane dirigente, indomito avversario delle ruberie e dei legami poco chiari dei vertici di estrazione democristiana con la P2 e addirittura con la mafia e l’OAS francese. Carlo era il nome dello Zio Carlo Gray, magistrato e filosofo del diritto, progressista come Francesco il liberal socialista, vicino alla Cisl, allievo di Vanoni e di Einaudi, che muoveva i suoi passi dentro il grande Ente di Stato che nascondeva i propri segreti, la propria spregiudicata azione nel perimetro della grande lotta per accaparrarsi le materie prime con ogni mezzo, ad ogni costo. Forte non era un uomo che viveva solo immerso nei suoi studi ma si era buttato a capofitto anche nella lotta politica, come un civil servant e scelse l’area che più gli garantisse lo status di uomo libero innanzitutto.

La comunità socialista conserva un ricordo devoto ad un uomo che ha accompagnato un tratto importante della sua storia, con le sue idee e la sua azione. Per chi lo ha conosciuto é stato un privilegio, una saggezza dispensata con generosità, una bontà d’animo mai dissimulata o nascosta. Ribelle come il suo ciuffo, vivace come il suo sguardo che traspariva dagli occhi chiari. Una perdita importante per la teoria del pensiero economico applicata alla prassi dell’azione politica quotidiana.