I numeri dei 'coscritti' smentiscono il Cremlino
Come muoiono i soldati di Putin, dalle regioni più remote al fronte: c’è chi sopravvive pochi giorni e chi si toglie la vita

Alexey Prostakishin 44 anni una moglie e due figli, Andrei Pichuyev 38 anni, anche lui una moglie e due figli, Alexey Roik 36 anni, Dmitry Sidorov 23 anni, Vladimir Potanin 46 anni, Sergei Fedoseenko e Evgenij Fedoshenko sono solo alcuni dei soldati di leva appena arruolati pescati dalle province più remote della Russia e spediti al fronte che non hanno mai fatto ritorno a casa. Alcuni di loro, tra le 25mila vittime dell’esercito di Putin, non sono nemmeno arrivati sui campi di battaglia.
L’analisi dell’esperta di calcolo quantistico al centro di ricerca computazionale dell’università di Notre Dame Mariya Vyushkova, russa di etnia buriata, mostra come la mobilitazione voluta dal Cremlino sia più ampia di quanto ammesso ufficialmente e stia producendo migliaia di vittime.
Dai dati raccolti Vyushkova fa emergere anche che la rete a strascico del regime è caduta sulle province remote dell’Est e dell’Artico, dove eventuali proteste preoccupano meno il Cremlino. Ad esempio la Chukotka, un angolo dell’estremo oriente artico, ha già pagato con i suoi coscritti un tributo di sangue decine di volte più alto della media russa. Non a caso le minoranze ora iniziano a reagire. Il leader dell’Associazione dei popoli indigeni che include gli allevatori di renne della Chukotka, Andrey Krivoshapkin, chiesto “un approccio obiettivo alla mobilitazione” perché – ha detto –, “è necessario preservare il patrimonio genetico dei nostri popoli”.
Su alcuni canali russi dei social Telegram, VKontakte o Odnoklassniki esiste una rete clandestina che, dai necrologi nei giornali locali o dai post, tiene ogni giorno il conto dei caduti. Vyushkova è in contatto con i volontari e mette in ordine i dati. Dal 24 febbraio la rete ha contato 11 mila russi morti in guerra, 541 solo fra le reclute di fine settembre.
Ma i caduti in realtà sono molti di più perché alcuni restano ufficialmente – come scrive Vyushkova – “dispersi” e di questi il necrologio non è mai stato scritto. Fra loro devono esserci circa 1.500 caduti, in tutto l’esercito russo almeno 22 mila: una stima in linea con quella dell’intelligence di Londra che, fra morti e feriti, calcola circa 100mila morti.
Il 2 dicembre la televisione ufficiale della Buriazia, seppur filo governativa, ha fatto sapere che la “commissaria ai diritti umani” della provincia aveva ricevuto già 656 lettere da famiglie che non hanno più notizie dei loro congiunti al fronte: dispersi probabilmente perché morti e lasciati lì, sul terreno. Numeri che sono più del doppio rispetto ai 300 caduti stimati fino a quel momento attraverso il conto dei necrologi.
Alexey Prostakishin è sopravvissuto sei giorni, non uno di più. Aveva 44 anni, una moglie e due figli ed era stato reclutato il 29 settembre in un villaggio nella Transbaikalia non lontano dalla Mongolia e dalla Cina. Il 4 ottobre era già morto nel Donetsk, primo coscritto di Vladimir Putin a cadere in questa guerra. Come lui Andrei Pichuyev, 38 anni, una moglie e due figli – ex volontario in Cecenia – portato pochi giorni prima da un villaggio della Buriazia, una repubblica asiatica di cultura mongola. Falciato all’arrivo anche Dmitry Sidorov, meccanico con una faccia da bambino di 23 anni. E sempre il 4 ottobre finisce nel sangue anche la guerra di Alexey Roik, un doganiere di 36 anni appena portato là da Cita, nell’Estremo Oriente russo.
Alcuni di loro non sono neanche arrivati vivi al fronte. Vladimir Potanin, 46 enne della regione dell’antica Ekaterinenburg, cinque giorni dopo la chiamata si è suicidato nella sua base militare. Il 39 enne Sergei Fedoseenko di Vladivostok, non lontano dalla Corea del Nord, è misteriosamente deceduto mentre era nelle mani della polizia per essersi ribellato al reclutamento poche ore prima.
I militari di leva sembrano quindi essere più dei 300mila dichiarati dal regime. Secondo Mediazona, un sito indipendente, la mobilitazione di settembre ha rastrellato circa 450mila uomini. Lo si desume dal numero dei matrimoni in autunno, triplicati rispetto alle medie stagionali soprattutto nelle province remote ad alta intensità di reclutamento: migliaia di coscritti hanno sposato le conviventi, per lasciar loro qualche diritto civile in più prima di rischiare la vita al fronte. Oggi Vyushkova stima che in ottobre il 18% dei caduti russi fosse fra i coscritti, ma in novembre erano già saliti al 25%. Per dicembre non sono ancora apparsi i necrologi, dunque non ci sono le stime sugli uomini massacrati dai missili di fine anno a Makiivka.
La mobilitazione continuerà e il clima di rivolta nella società russa non riuscirà a fermare il Cremlino. E ora aziende e imprese russe preferiscono assumere donne o anziani smettendo di offrire contratti agli uomini sotto scacco da rastrellamenti e di finire nel tritacarne ucraino.
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