La lettera di Giuseppe Conte al Corriere è già stata oggetto, su questo giornale, di una puntuale analisi politica da parte di Claudia Fusani. Nessuna sorpresa se l’intervento si caratterizza per una superficiale genericità, resa necessaria dall’ambizione, nell’assenza di idee forti, di raccogliere un consenso il più ampio possibile. Vi è, tuttavia, un passaggio della lettera, che segnala in modo inequivocabile quali siano, dietro la cortina fumogena dei luoghi comuni, i valori di riferimento. Nella parte finale si legge, difatti, «nessuno sviluppo, tuttavia, potrà essere perseguito se non riusciremo ad assicurare condizioni di effettiva sicurezza ai cittadini. Più che gli slogan, torneranno molto utili le nuove tecnologie e infrastrutture digitali e di telecomunicazione, a partire dal 5G, per garantire il controllo di vicinato e di prossimità e un più efficace e pronto intervento delle forze dell’ordine».

Il riferimento, evidentemente, è ad un sistema capillare di videosorveglianza. L’idea di forze di polizia, che intervengono prontamente sulla base delle indicazioni che provengono da un sistema di controllo di vicinato e di prossimità, reso possibile dalle nuove tecnologie e dalle infrastrutture digitali e di telecomunicazione, non può non richiamare alla mente una società distopica, fondata sul controllo capillare di ogni suo componente. Del resto, non si tratta di una realtà meramente futuribile. È noto che in Cina sistemi di videosorveglianza, gestiti dall’intelligenza artificiale e con largo utilizzo di tecniche di riconoscimento facciale, sono ampiamente utilizzati, consentendo al Governo di quel paese un controllo dei singoli, che compongono le masse, altrimenti inimmaginabile. Il dettaglio con cui, in una lettera del tutto generica, Conte ha descritto cosa ha in mente per garantire la sicurezza dei cittadini suggerisce che abbia avuto riguardo a un modello ben preciso: appunto quello utilizzato in Cina, paese verso il quale lo stesso Conte ed il Movimento 5Stelle nel suo insieme hanno spesso mostrato apprezzamento.

La conclusione, allora, è che occorre registrare una evoluzione, o meglio una involuzione, dei 5Stelle verso una concezione autoritaria dello stato, che sino a qualche anno fa era imprevedibile. Tutti certamente ricordano che nelle elezioni per il Presidente della Repubblica, svoltesi nel 2013, il candidato votato dai 5Stelle fu Stefano Rodotà, scelto dopo una consultazione in rete. Alla sesta votazione fu rieletto il presidente uscente, Giorgio Napolitano, mentre Rodotà ebbe 217 voti, e cioè il suffragio del Movimento 5Stelle, che votò compatto, e di Sinistra Ecologia Libertà. La circostanza non è priva di rilievo, per l’argomento qui affrontato, atteso che all’epoca la posizione di Rodotà in ordine alla tutela dell’individuo di fronte alle insidie della videosorveglianza era ampiamente nota. Di conseguenza, si deve presumere che quella posizione fosse condivisa dal Movimento. Rodotà, che era stato il primo presidente del Garante italiano dei dati personali, dal 1995 al 2005, presiedendo anche dal 2000 al 2004 il Gruppo Europeo sulla Protezione dei dati, aveva espresso una opinione nettissima per sottolineare la invasività e la grave ingerenza, che i sistemi di videosorveglianza possono avere nella vita dei cittadini.

Egli partiva dalla premessa che «anche nella lotta al terrorismo non bisogna mai perdere la memoria di quel che è avvenuto nei regimi totalitari, dove violazioni profonde dei diritti fondamentali sono state possibili proprio grazie a massicce raccolte di informazioni che hanno consentito un controllo continuo, capillare e oppressivo della stessa vita quotidiana: la privacy si specifica così come una componente ineliminabile della società della dignità». Ed aggiungeva «alcuni studiosi statunitensi hanno sostenuto che il passaggio da forme di controllo mirate verso singole persone e gruppi sociali ritenuti pericolosi ad un controllo oggettivo e universale avrebbe un effetto di democratizzazione, perché escluderebbe ogni forma di selezione degli indagati e quindi di discrezionalità. Tutti eguali perché tutti controllati e schedati. L’eguaglianza di fronte allo Stato sarebbe garantita solo dall’abbandono di ogni garanzia. Ma questa eguaglianza da campo di concentramento ferisce la dignità, nega la libertà, mortifica la democrazia. Certo, si può sostenere che si tratta di una ipotesi paradossale, da non prendere troppo sul serio. Ma, in realtà, essa porta alle estreme conseguenze una argomentazione brutalmente realistica e assai diffusa, che sostiene che non si può ricorrere al tradizionale bilanciamento tra valori e diritti diversi quando è in questione la sopravvivenza stessa dello Stato. Questo significa che tutti diventiamo potenzialmente, se non nemici, almeno sospetti, legittimando ogni forma di controllo di massa? Dobbiamo, dunque, rassegnarci a veder modificato il concetto stesso di libertà?».

Una sensibilità profondamente democratica, affinata sia negli anni dedicati agli studi e sia in quelli dedicati alla attività politica, aveva, dunque, indotto Rodotà a prendere una posizione netta contro la società della sorveglianza, mettendo in luce che una tale società si risolve in una lesione di quelli che sono i diritti fondamentali alla dignità, alla libertà ed alla eguaglianza. Non può non stupire, allora, la estrema disinvoltura con cui Giuseppi propone una società della sorveglianza, come risultato dell’azione di governo che intende promuovere. Siccome, poi, questa posizione è espressa da chi riveste, dopo una votazione, la carica di Presidente del Movimento 5Stelle, essa finisce con l’essere riferibile a quest’ultimo nella sua interezza. Cosa se ne può dedurre? Che il Movimento è passato da una posizione estremamente rispettosa dei diritti fondamentali ad una visione autoritaria dello stato? Oppure che si tratta di particolari irrilevanti, non prestando il Movimento attenzione a questi dettagli? Fatto sta che Conte, con una superficialità inimmaginabile su un tema di tale delicatezza, propone una società distopica, nella quale un grande fratello controlla la vita di ciascuno.

Certamente, lo stimolo ad assumere una posizione del genere è venuto dall’esigenza di parlare a quegli strati sociali che avvertono e soffrono le insicurezze di questo momento storico. Conte propone, perciò, come fa Salvini con il tema dell’immigrazione, una deriva securitaria, gradita tuttavia, la sua, anche a quella parte della sinistra irrimediabilmente giustizialista, che ha ormai messo all’ultimo posto i valori del rispetto della dignità della persona e della libertà.