Maxi blitz dalle prime luci dell’alba di oggi, 17 febbraio, sul litorale sud di Roma, diventato terra di conquista di ‘ndrine di “primissimo piano”. La vasta operazione dei Carabinieri del comando provinciale ha permesso di eseguire l’ordinanza- emessa dal Gip del Tribunale di Roma su richiesta dei magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia- che dispone misure cautelari nei confronti di ben 65 persone, alcune delle quali gravemente indiziate di far parte di un’associazione per delinquere di stampo mafioso.

Secondo quanto emerso dalle indagini, avrebbero dato vita a un clan locale della ‘ndrangheta che si ipotizza avesse assunto il controllo del territorio, arrivando a infiltrarsi nelle pubbliche amministrazioni e a gestire operazioni di narcotraffico internazionale. I militari dell’Arma hanno scoperto anche covi in seminterrati di edifici e in alcuni terreni.

L’operazione

Associazione mafiosa, cessione e detenzione ai fini di spaccio, associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravata dal metodo mafioso. Ma anche estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti aggravato dal metodo mafioso. Sono questi i reati contestati agli indagati, a seconda delle posizioni: 39 si trovano in carcere e 26 agli arresti domiciliari.

In particolare le indagini, iniziate nel 2018, hanno evidenziato come il clan si fosse infiltrato nei comuni di Anzio e Nettuno con l’obiettivo di “acquisire la gestione e/o il controllo di attività economiche nei più svariati settori: ad esempio ittico, della panificazione, della gestione e smaltimento dei rifiuti, del movimento terra”. Ma non solo: puntava anche a ottenere appoggi in ambito politico e imprenditoriale, affermando il controllo egemonico sul territorio

A capo di tale struttura criminale ci sarebbe Giacomo Madaffari, ma ne farebbero parte anche altri soggetti appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Guardavalle (Catanzaro), ossia i Gallace, i Perronace e i Tedesco.

Dall’attività d’indagine è inoltre emersa l’esistenza di due associazioni finalizzate al narcotraffico, una capeggiata appunto da Giacomo Madaffari e l’altra da Bruno Gallace: entrambe potevano contare su elevate disponibilità finanziarie e logistiche, nonché delle capacità di approvvigionare e importare dal Sud America ingenti quantitativi di cocaina. 

Il gruppo criminale sgominato oggi è solo il ‘distaccamento’ di un organo collegiale di vertice denominato “la Provincia” della malavita organizzata calabrese, composto da diverse articolazioni sparse non solo sul territorio nazionale, in varie Regioni, ma anche in altri Paesi come Svizzera, Germania, Australia e Canada. 

Le importazioni di droga e il traffico di rifiuti

Gli sviluppi investigativi hanno consentito infatti di ricostruire un’importazione dalla Colombia di 258 kg di cocaina, avvenuta nella primavera del 2018, disciolta nel carbone e successivamente estratta all’interno di un laboratorio allestito nel territorio a sud di Roma; e il progetto di acquistare e importare da Panama circa 500 kg di cocaina nascosta a bordo di un veliero. Un’azione non portata a termine dagli esponenti del clan perché venuti a conoscenza di attività investigative in corso nei riguardi di soggetti appartenenti al sodalizio.

Le misure cautelari sono state adottate anche per il reato di traffico organizzato di rifiuti, in relazione alla abusiva gestione di ingenti quantitativi di liquami che sarebbero stati scaricati nella rete fognaria comunale attraverso tombini, alcuni dei quali realizzati ad hoc all’interno della sede di attività imprenditoriali degli imputati nel comune di Anzio. Le quote, il patrimonio aziendale, i conti correnti e le autorizzazioni all’esercizio delle attività commerciali sono state quindi sottoposte a sequestro preventivo.

Le intercettazioni

Svolte anche attività di perquisizione presso gli uffici comunali di Anzio e Nettuno con l’obiettivo di acquisire ulteriori documenti che possano dimostrare il rapporto tra gli uomini dei clan e gli amministratori locali, che il il gip definisce “solido”. “Per quello che abbiamo raccolto in questi anni – spiega uno degli inquirenti – c’è già materiale per un intervento del prefetto della Capitale“. Quest’ultimo sta analizzando le carte trasmesse da piazzale Clodio per avviare, eventualmente, le procedure che potrebbero portare allo scioglimento per infiltrazione mafiosa, come già avvenuto, nel 2005, per Nettuno.

Dall’ordinanza di oltre 1.300 pagine del gip emergono i ‘rapporti opachi’ tra la politica locale e le cosche. Nelle elezioni amministrative del 2018 gli affiliati si sono spesi per fare eleggere Candido De Angelis (non indagato nel procedimento). “Ieri abbiamo vinto le elezioni“, dice uno degli indagati intercettato. “Il sostegno si è concentrato nella località denominata ‘Falasche’, corrispondenti alle sezioni 15-16-17 del comune di Anzio”, scrive il gip Livio Sabatini.

Il giorno dopo la vittoria di De Angelis vengono captate “tre conversazioni di eccezionale valore probatorio rivelatrici del sostegno offerto dalle famiglie calabresi in favore di De Angelis” sottolinea il gip. “Ha sbancato proprio su tutti”; “Io so qui alle Falasche ancora. Da ieri che sto qua, stiamo spogliando l’ultimo seggio…“; “Candido è il sindaco, ha vinto e basta!”

Anche a Nettuno le cosche hanno cercato di orientare le elezioni del 2019. Per il gip “emerge la contiguità” di alcuni dei principali indagati “con vari esponenti politici” della cittadina. In occasione delle elezioni comunali uno degli affiliati si era infatti  attivato in modo da convogliare i voti su uno dei consiglieri eletti nella lista del sindaco Alessandro Coppola (anche lui indagato).

In una conversazione Giacomo Madaffari “rivendicava la sua amicizia con il sindaco di Nettuno Coppola e manifestava il rischio che sarebbe disceso dall’accostamento della sua persona a quella di Coppola”, scrive il gip rimandando a un’intercettazione: “Ci arrestano … e…cacciano pure Coppola’“. Per il gip, infine, “le intercettazioni dimostrano che i componenti della locale di ‘ndrangheta si sono anche avvalsi della forza di intimidazione derivante dall’appartenenza al vincolo associativo per l’ottenimento degli appalti”.

In un dialogo uno degli indagati ricorda di aver minacciato un uomo che si era aggiudicato un appalto per la manutenzione delle scuole. “E com’è che stai a fare le scuole ad Anzio? – si legge – È il primo intervento che fai? Ecco, dico, basta! Devi venire te da Aprilia a fare il malandrino ad Anzio” e lui mi ha risposto: “Perché ad Anzio che c’è la mafia?”.

Due carabinieri arrestati

Grazie ai proventi dello spaccio su larga scala, le cosche hanno finanziato le loro attività oliando anche funzionari pubblici e utilizzando l’apporto di uomini delle forze dell’ordine infedeli: tra gli arrestati ci sono anche due carabinieri, accusati di avere rivelato notizie coperte da segreto.

Le indagini svolte dai Carabinieri su due militari, che prestavano servizio in una delle caserme del litorale, hanno infatti evidenziato “gravi indizi in ordine alla rivelazione di informazioni riservate a favore del sodalizio di tipo mafioso.”

Entrambi destinatari della misura cautelare (uno agli arresti domiciliari e l’altro in carcere), sono “gravemente indiziati di rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio”: uno dei due anche di concorso esterno in associazione mafiosa.

“La più importante indagine nel Lazio contro la mafia calabrese”

L’inchiesta di questa mattina contro la locale di ‘ndrangheta di Anzio e Nettuno rappresenta la più importante indagine realizzata nel Lazio contro la mafia calabrese degli ultimi anniha sottolineato in una nota Gianpiero Cioffredi, Presidente dell’Osservatorio per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio.

Esprimiamo gratitudine infinita nei confronti del Comando Provinciale dei Carabinieri di Roma e dei Procuratori Aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma per aver condotto un’operazione da cui emerge un quadro raccapricciante che svela un reticolo di relazioni che facendo leva sulla propria forza di intimidazione dovuta al fatto di appartenere alla potente criminalità calabrese, grazie all’assoggettamento e all’omertà che la circonda, sarebbe riuscita ad infiltrarsi nell’economia locale ma, cosa ancor più pericolosa, anche nella politica e nella pubblica amministrazione.

 

Roberta Davi

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