C’ è un elemento umorale e umoristico che rende questa crisi italiana del tutto italiana. Dice Pierferdinando Casini che è stato l’uomo più “inside”: «Salvini ha ripetuto quello che aveva già fatto al Quirinale e si è dimostrato inaffidabile. Stamattina ho parlato con amici che hanno sempre votato per il centrodestra e che hanno detto tanto vale allora votare la Meloni che almeno ha le mani pulite. Tutti hanno fatto scelte spiegabili soltanto con analisi junghiane. Quanto allo zampino, anzi zampone, russo, io non so niente ma ho già sentito dieci persone importanti che mi dicono tutti la stessa cosa: se lavori in quella direzione non sbagli». Per par condicio trovi subito quelli che ti spiegano che è colpa della Cia e degli americani così come trovi per il Covid e la carestia, teorie complottiste di origine aliena.

L’Italia dal 2011 non ha più avuto un capo di governo arrivato a Palazzo Chigi vincendo le elezioni. Ma abbiamo avuto presidenti della Repubblica, prima Napolitano e poi Mattarella, ma anche abbastanza Pertini e poi Cossiga, che ormai hanno concesso a sé stessi la loro forma personale di Repubblica presidenziale che meglio si attaglia alle loro forme mentali. La Costituzione italiana è vaghissima sui poteri reali del presidente e ognuno di loro ne ha scritto un pezzo improvvisato: da Pertini a Cossiga, da Ciampi (che fece sul serio il gran rifiuto) per cui è stata realizzata una nuova Costituzione che porta volentieri a Palazzo Chigi un tecnico gradito al presidente. Che si chiami Dini, Ciampi, Monti o Draghi poco importa perché ciascuno di loro è espressione di una visione personale del mondo. E quella di Mattarella è probabilmente quella più vicina all’Unione europea, e di sicuro Draghi era il suo candidato preferito, ma anche quello dell’Europa che conta e che eroga fondi.

Per questo la situazione italiana è anche comica: perché somiglia all’antica festa di paese che si chiamava Albero della Cuccagna sulla cui punta stava in un sacchetto una piccola fortuna per l’arrampicatore che riusciva a salire e portarsi a casa il gruzzolo. Non sempre il gruzzolo è vile moneta ma anche venale soddisfazione come quella proposta a Draghi: lottare con aplomb britannico per convincere un Parlamento arlecchinato che non corrisponde al popolo che lo ha eletto, ad eseguire fedelmente lo scadenzario per vincere il tesoretto con il quale l’Italia dovrebbe passare dal giurassico al post-moderno. Il povero Draghi pensava di giocare a bridge quando invece era rubamazzo: organizzava strategie che richiedono almeno un partner, contentandosi di giocare col morto. Il morto era la politica, morta da quando non esistono più le cosiddette ideologie ma neanche uno straccio di idea di una società capace di affrontare i problemi, cercare le soluzioni. Ieri si sentivano le urla di gioia dei tassisti che consideravano il governo Draghi un nemico della categoria. Non per caso il Parlamento fascista era la Camera dei fasci e delle corporazioni. E non per caso le corporazioni sono state sempre la banda chiodata del suo passato.

Questa è la ragione per cui la Meloni incassa lauti premi occupando da sola il trono della regina di picche e che detta la linea malgrado le sue carenze in storia: altrimenti perché manterrebbe nel suo simbolo la fiamma tricolore e del fu movimento sociale italiano e che rappresentava il gas della decomposizione del cadavere del Duce acceso in un fuoco fatuo con i colori della bandiera. Chi glielo fa fare? E perché nessuno trova questo dettaglio deprimente? Ma è così: gli italiani possono indifferentemente votare in massa per i democristiani, per i comunisti, meno per i socialisti e moltissimo per il vecchio Pci di Berlinguer e poi per Matteo Renzi. E subito rottamato. Senza dimenticare il fascismo di massa come il cattolicesimo di massa, l’antiamericanismo di massa, il giustizialismo di massa, il vizio di distribuire patenti di eroismo a chiunque purché rappresenti un bene elettorale. È sempre la stessa pappa: il popolo dei fax, la società civile, l’ambientalismo radicale il negazionismo sulla natura e la temperatura dell’adorato pianeta di cui tutto sommato siamo finora il prodotto più riuscito e poi gli apritori di scatolette di tonno che negli Stati Uniti sono tutti sotto processo per alto tradimento. C’entra tutto ciò con quanto è caduto nelle ultime settantadue ore?

La risposta è ovviamente no, eppure è proprio lì che sta l’inconsistenza politica del nostro paese che ha applaudito quando ha visto decapitare la classe dirigente che aveva rimesso in piedi la baracca dopo la catastrofe della guerra. C’entra qualcosa Draghi in tutto questo? Sì e no: non si è reso conto che invitare Letta e solo Letta a discutere formalmente della crisi politica non poteva che far incazzare il centrodestra che per quanto abbia mugugnato, specialmente Salvini, non ha compiuto mai atti di opposizione o di rottura. Certo, la memoria recente di come Salvini sia stato sputtanato da un sindaco di destra di un paese polacco che gli ha sbattuto in faccia le magliette putiniane, è anche comico e fa arrossire, ma l’Italia è fatta così e se vuoi governarla devi conoscerne umori e sapori. Il presidente Charles de Gaulle si chiedeva (con molta civetteria) come si possa governare un paese che ha cinquecento qualità di formaggio. Noi sul formaggio siamo più unificati, ma questo non rende le cose più semplici. Draghi seguitava a giocare a scacchi quando l’universo della politica aveva deciso di giocare a scopetta e lui si è confuso, non ricordava più chi avesse il settebello, e così ha perso non soltanto con dignità, ma senza averci capito un cavolo.

Intanto la guerra in Ucraina andava avanti e si è visto che sopra la panca la capra campa, ma senza armi la capra crepa. I Pentastellati, ma diciamo meglio l’avvocato Conte di motu proprio, aveva deciso di non voler dare più armi agli aggrediti, per sparigliare. Draghi non ha sparigliato ma ha tenuto duro su una linea del tutto ignota ai suoi compaesani come i valori occidentali e la difesa ridicola e perdente della difesa della libertà altrui, i diritti dell’uomo e del cittadino e altre banalità da caffè-concerto. Insomma, da furbissimissimo che sembrava, era diventato il pollo della giocata. Anche Mattarella era sorpreso, poi perplesso, poi entusiasta vedendo Draghi che faceva su e giù le scale del Quirinale, un corazziere a destra e uni a sinistra, pensando che fosse una partita di polo. Insomma, la crisi, così come la guerra di Troia: era cominciata con la ragazza Elena che faceva la capricciosa ed è finita a cavalli di legno. Così, per quanto con effetto minore, questa crisi è cominciata con il Conte che faceva il pazzariello ed è finita con il pazzariello che pur di ottenere il suicidio assistito, ha costretto l’uomo del Colle a convocare le elezioni che, a conti fatti, vincerebbe la Meloni, prudentemente rimasta fuori dalla tombola di quartiere, tenendo sempre le manine sulla malsana fiamma che resiste alla crisi energetica. E che non si è capito chi glielo fa fare. E così che in Italia i conti tornano ma i draghi si estinguono.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.