Intervenire al convegno su “Gratuito patrocinio: il tradimento del patto etico tra Stato e Avvocato della Camera Penale di Napoli ha rappresentato l’occasione per fare il punto su talune contraddizioni che attengono all’applicazione in Italia degli istituti del patrocinio a spese dello Stato e della difesa d’ufficio che costituiscono violazioni dei principi del giusto processo e di uguaglianza tra i cittadini indagati dinanzi alla legge.

L’Associazione dei Difensori d’Ufficio, sia nella sezione napoletana che a livello nazionale, è particolarmente sensibile a questo argomento, perché per quanto siano certamente diversi gli istituti della difesa d’ufficio e del patrocinio a spese dello Stato, essi sono molto più correlati di quanto si possa pensare. In generale, il primo momento di contatto ideale tra la difesa d’ufficio e il patrocinio a spese dello Stato avviene quando l’indagato, ricevuto il primo atto notificatogli dall’Autorità Giudiziaria nel corso del procedimento penale, non abbia effettuato la nomina del difensore di fiducia, poiché in tale evenienza – in ragione dell’obbligatorietà della difesa tecnica nel processo penale – gli verrà assegnato un difensore d’ufficio. Nel 30-40 % di questi casi, infatti, il difensore designato per legge si sentirà ripetere “avvocato, non ho i soldi per pagarla”, avviando in questo modo le pratiche affinché l’assistito possa accedere al c.d. “gratuito patrocinio”.

Può però accadere che il difensore nominato d’ufficio non riesca in alcun modo a contattare l’indagato, il quale – pur avvisato e sollecitato – decida di disinteressarsi del processo. In tal caso, l’avvocato d’ufficio dovrà attivare una procedura di recupero del credito professionale – con messa in mora, decreto ingiuntivo, precetto, pignoramento mobiliare o immobiliare – che ritarderà di anni l’effettiva corresponsione dell’onorario per l’attività difensiva svolta. Il “tradimento del patto etico tra Stato ed Avvocato” si realizza, dunque, per tutta una serie di prassi diffuse tra gli uffici giudiziari e previsioni normative che esprimono null’altro che la volontà del legislatore. Ciò perché, al termine di questo complesso procedimento, l’art. 116 del T.U. sulle Spese di Giustizia ci dice che nel momento in cui la persona assistita risulti incapiente si applicano le liquidazioni del gratuito patrocinio. È qui che si realizza un corto circuito nel coordinamento con la disciplina della difesa d’ufficio: ed invero, in quest’ultima ipotesi, il difensore designato per legge non ha accettato spontaneamente ed a monte di assistere l’indagato/imputato “a spese dello Stato”, ma si ritrova a subirne comunque la disciplina economica sfavorevole.

Vi è poi da evidenziare anche l’ostracismo espresso negli anni da quella parte aristocratica della classe forense. In tal modo, sono stati chiusi gli occhi davanti ad un incremento – dal 1995 al 2019 – del 1230% delle ammissioni al patrocinio a spese dello Stato. Numeri elevatissimi davanti ai quali non si possono chiudere gli occhi, poiché la giustizia sostanziale si fonda su questi numeri. Oltre a impegnarsi al fine di promuovere la riforma proposta dagli Avvocati Raffaele De Cicco e Alessandro Amodio che consenta di equiparare le tempistiche delle liquidazioni dei difensori a quelli degli ausiliari dei magistrati è stata evidenziata dall’On. Del Mastro l’assurdità di prevedere, per ciascun tribunale d’Italia, un diverso protocollo d’intesa per le liquidazioni, che portano – per la stessa attività – a vedere le liquidazioni tra, ad esempio, Bari e Napoli decisamente diverse. L’effettività della difesa, soprattutto per i non abbienti, non può prescindere dal giusto e tempestivo compenso dei professionisti protagonisti del processo.