Stuprate dai soldati russi, fuggite da una guerra che sta distruggendo il loro Paese. E ora profughe (incinte) in Polonia, dove l’aborto è permesso solo in pochissimi casi.

Il dramma delle donne ucraine è denunciato da Krystyna Kacpura, avvocata e direttrice della Federazione per le donne e la pianificazione familiare, che ha sottolineato a Repubblica come il suo telefono squilli ininterrottamente: richieste di aiuto per poter abortire.

Le severe leggi sull’aborto della Polonia

La Polonia ha accolto oltre due milioni di ucraini: il 90% sono donne e bambini. A Kiev è permesso abortire fino alla dodicesima settimana, ma Varsavia ha le leggi anti-abortiste più severe d’Europa: le stesse polacche sono spesso costrette ad andare all’estero oppure ad affidarsi alle ‘mammane’ se vogliono interrompere una gravidanza.

L’aborto nel Paese guidato da da Mateusz Morawiecki non è consentito neanche per malformazione grave oppure mortale del feto. Lo scorso dicembre è fallita la proposta di vietare l’interruzione di gravidanza in caso di stupro o incesto: ma le leggi sono talmente severe che è difficile anche reperire medici che acconsentano a praticarlo in queste situazioni. E così le donne ucraine, violentate dagli occupanti oppure finite in situazioni troppo complicate e precarie per voler portare avanti una gravidanza, incontrano la resistenza delle autorità polacche. 

Krystyna Kacpura aveva già denunciato a Vice la situazione vissuta dalle rifugiate ucraine, sottolineando come dall’inizio del conflitto le domande di assistenza e di informazioni fossero talmente elevate da richiedere una linea a loro dedicata. Un team di cui fa parte anche un ginecologo ucraino scappato dalla guerra.  Le Ong infatti si stanno adoperando per fornire tutto l’aiuto possibile.

Le testimonianze

Oleksandra Matviichuk, promotrice del Centro per le libertà civili ucraine, qualche giorno fa ha scritto su Twitter come sia necessaria una causa penale per poter avere accesso all’aborto in Polonia: ma lo stupro è spesso un ‘crimine nascosto’, che non viene denunciato. Gli psicologi intanto cercano di convincere le donne che una nuova vita sia ‘una cosa meravigliosa’. Mentre Hillary Margolis, di Human Rights Watch, ha dichiarato ai media polacchi che le ucraine non sono abituate alle loro restrizioni, e per questo “c’è molta paura e ansia tra di loro“.

Justyna Wydrzynska, attivista dell’organizzazione ‘Abortion without Borders’, riceve molte richieste di aiuto da parte di chi intende abortire. Attualmente è sotto processo per ‘traffico illegale di farmaci’, avendo inviato una confezione di pillole del giorno dopo a una donna che voleva interrompere la gravidanza perché vittima di violenza domestica. 

L’attivista ha raccontato a Repubblica che novantanove donne l’hanno già contattata dal 1 marzo per sapere come avere accesso all’aborto o alla pillola del giorno dopo. “I volontari che sono andati a Bucha hanno detto che le donne stuprate lì hanno paura di venire in Polonia. Conoscono le nostre leggi e le temono” ha raccontato. “Piuttosto cercano di arrangiarsi lì, in un Paese ancora devastato dalla guerra”.