Misure alternative alla detenzione. Se ne parla da tempo. Se ne parla come l’unica soluzione possibile a carceri che scoppiano e strutture penitenziarie dove si vive in condizioni inumane e degradanti. Se ne parla ultimamente anche come misura per decongestionare le carceri e contenere i contagi che cominciano ormai a moltiplicarsi nei vari istituti di pena del Paese. Si parte dal principio che la pena deve avere quella funzione rieducativa sancita dalla Costituzione e dal dato di fatto che nelle carceri non si riescono più a garantire condizioni di vivibilità e attività formative adeguate. Eppure accedere alle misure alternative alla detenzione non è sempre facile. Il più delle volte richiede iter procedurali molto complessi. Per ottenere una decisione sulle istanze bisogna passare per la lunga trafila dei documenti da richiedere e produrre e per i Tribunali di Sorveglianza che a Napoli, nonostante gli sforzi di molti magistrati, sono l’imbuto della giustizia perché ci sono vuoti in organico che sembrano voragini e il numero delle istanze è tale da determinare arretrati, attese e ritardi con la conseguenza che si rischia di lasciare in cella persone che potrebbero scontare altrove la loro pena.

Uno dei casi più recenti è quello di un giovane napoletano, finito in carcere ormai da 20 giorni per scontare un residuo di pochi mesi dopo aver espiato gran parte della condanna ai domiciliari e senza mai violarli. E tutto a causa di una rigida burocrazia in base alla quale, con la sentenza divenuta definitiva, si finisce in galera senza se e senza ma, salvo poi fare istanza e sottoporre al giudice la valutazione del singolo caso. Possibile? Sì. Il protagonista della storia lo chiameremo Gaetano. Aveva 23 anni nel 2018 quando fu arrestato per rapina. Incensurato, studente e lavoratore, si prestò a fare da complice ad un amico in due rapine. Gaetano aveva l’auto, e la guidò mentre l’altro avvicinò fulmineo le vittime in strada. Presero di mira due donne, una dopo l’altra, e si impossessarono di due cellulari e poco più di cento euro. Gaetano capì subito di aver fatto una cosa sbagliata, ma ormai era troppo tardi. Fu identificato e arrestato nove mesi dopo le rapine. In quei mesi non commise altri reati.

Il pm che coordinò le indagini e il gip che firmò la misura cautelare capirono che il ragazzo non faceva parte di certi contesti delinquenziali e optarono per gli arresti domiciliari, evitando che quel giovane potesse entrare in carcere. Gaetano, quindi, affrontò il processo restando ai domiciliari e adottò sin da subito un atteggiamento collaborativo, risarcendo il danno a entrambe le parti lese. Oggi la storia di Gaetano diventa un caso che spinge l’avvocato Paolo Cerruti, suo difensore, a chiedere una riforma del sistema giudiziario e subito la scarcerazione del suo assistito. Ed ecco perché. Gaetano è finito in carcere ormai 20 giorni fa, è stato rinchiuso a Poggioreale quando la condanna è sì divenuta definitiva ma è anche in gran parte già espiata. «Chiedo che a questo giovane venga concessa la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale – sottolinea l’avvocato Cerruti – Lo chiedo per evitare che l’intelligente scelta di politica criminale adottata dal pm titolare delle indagini e dal gip che emise la misura e finalizzata a impedire la criminalizzazione di un giovanissimo e incensurato lavoratore, venga vanificata con una ingiusta e lunga detenzione inframuraria, sia pure solo per il tempo strettamente necessario ad ottenere i benefici penitenziari».

Sulla storia di Gaetano pesa la rigidità di una burocrazia che non riesce a guardare all’uomo, al singolo caso. Non subito almeno. Gaetano ha già espiato due anni e otto mesi di reclusione ai domiciliari con l’autorizzazione a recarsi ogni giorno a lavoro e in quel tempo non ha mai violato alcuna prescrizione. Eppure è finito in carcere. Da quasi tre settimane è in cella a Poggioreale nonostante un residuo di pena di sette mesi e 15 giorni. E chissà quanto dovrà aspettare perché tutti i documenti che lo riguardano completino il farraginoso iter burocratico e la sua istanza sia valutata dal magistrato di sorveglianza. A ciò si aggiunga che siamo in periodo di emergenza Covid e i tempi della giustizia sono ancora più dilatati. È proprio di ieri una circolare del presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, Adriana Pangia, che prolunga fino al 31 gennaio 2021 le misure per scaglionare accessi negli uffici e udienze.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).