«Sappiamo fin da subito chi sono i ragazzini a rischio, bisogna intervenire sostenendo le famiglie fin dalla nascita del bimbo. E quelli che non riusciamo a salvare e finiscono a Nisida? Dobbiamo farli uscire da lì con un lavoro, agevolando le aziende che li assumono». Ne è convinto Paolo Siani, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza.

Onorevole, da anni si parla di dispersione scolastica ma i numeri ci dicono che poco è stato fatto. Possibile che non si sia ancora trovato un sistema efficace per combattere questo fenomeno?
«Sì, perché noi ci accorgiamo della dispersione scolastica solo quando accade, cioè noi contiamo i ragazzi che non vanno più a scuola. Ma se andiamo a vedere chi sono, sappiamo fin dalla nascita dove vivono. Per cui per arginare il fenomeno, bisogna prendersi cura dei bambini e delle bambine appena nascono e accompagnarli nella loro crescita, portandoli subito all’asilo nido e man mano a scuola. Appena si capisce che un bambino inizia a provare poco interesse per la scuola, bisogna riportarlo sulla “retta in via”».

In che modo?
«Facendo ciò che già si fa in tutti i paesi europei. Mi riferisco alla visita domiciliare, una persona (non un medico né un assistente sociale), una mamma, prende una famiglia ritenuta “fragile” sotto la propria protezione e mette in atto un accompagnamento. Così chi segue la famiglia sarà in grado di vedere subito se c’è qualche difficoltà, prima tra tutti l’abbandono scolastico da parte dei bambini e così, prima che sia troppo tardi, si interviene. Intervenire quando il bambino o il ragazzino ha già perso un anno di scuola o comunque ci va e non ci va è praticamente inutile, riportare in classe un ragazzino è un’impresa ardua. Bisogna quindi muoversi prima e bene, per esempio tenendo le scuole aperte anche il pomeriggio, specialmente nei quartieri più difficili. Il pomeriggio si dovrebbero organizzare laboratori di musica, di teatro, corsi di cucina in modo da scovare l’attitudine di quel bambino e coltivarla. Magari è un bambino che non ama la scuola ma scopre di avere una passione per la musica o per la pittura e si impegnerà in quella direzione».

Lei prima ha parlato di consapevolezza: sappiamo fin da subito chi sono i bambini a rischio e dove vivono. Solitamente nascono in quartieri “difficili”, gli stessi dove lo Stato ammette di essere assente. Da deputato cosa prova di fronte a questa ammissione di colpa da parte dello Stato?
«Questa è una domanda complessa. Lo Stato non c’è perché è stato sostituito dalle organizzazioni criminali che svolgono un ruolo di supplenza rispetto alle istituzioni. Le persone si affidano di più alla criminalità che allo Stato. In queste zone difficili lo Stato deve entrare in queste famiglie subito, con cautela, e facendo sentire la sua presenza già alla nascita del bambino. In questo modo lo Stato si rende conto subito di che aiuto ha bisogno quella famiglia e glielo fornisce perché ci sono gli strumenti per poterlo fare. In questi territori complicati ci sono anche le parrocchie e le strutture sportive che fanno molto, si deve creare un’alleanza importante con il terzo settore. Ma lo si deve fare prima che si manifesti il problema».

Qual è l’emblema dell’assenza dello Stato?
«Basta guardare la presenza degli asili di nido, primo presidio dello Stato. Gli asili nido mancano proprio nei quartieri più difficili e nelle regioni più complicate, cioè nel Sud Italia. Sono state fatte delle scelte non rivolte alla prevenzione, ma alla repressione e così oggi mancano le strutture».

Assenze e disattenzione: perdiamo i nostri ragazzi. Lei fa parte della commissione infanzia del governo, state lavorando a una proposta di legge?
«Sì. Oggi le famiglie oggi hanno un supporto economico per i bambini, ma ciò che manca è l’accompagnamento, devono essere aiutate a crescere nel miglior modo possibile i figli. Per questo stiamo lavorando a una proposta di legge per istituire un’agenzia dell’infanzia, un’agenzia che metta in relazione tutti coloro che si occupano di infanzia e quindi il Ministero della pubblica istruzione, il ministero della salute, il welfare, il terzo settore. Ci sono tanti enti ma manca un coordinamento, manca una regia unica che metta in rete le varie esperienze e soprattutto che valuti i progetti per l’infanzia che si fanno nel nostro Paese. Quindi, l’idea è quella di un’agenzia con una regia statale, regionale o comunale che metta insieme pubblico e privato, tutti coloro che si occupano di infanzia per razionalizzare gli interventi e renderli più efficaci. Mi riferisco a interventi di prevenzione tempestivi. Tutti sappiamo che l’intervento precoce è quello che da più risultati».

A proposito di progetti, si era parlato di un Patto educativo che però è ancora al palo. Che idea si è fatto?
«È un’iniziativa del vescovo don Mimmo Battaglia che trovo ottima, ma arriva tardi. Il patto educativo si deve fare con le famiglie alla nascita del bambino, non quando il ragazzino ormai l’abbiamo perso».

Parliamo proprio di quelli che purtroppo “perdiamo” e ritroviamo nelle aule di tribunale, lei crede che il carcere minorile, la messa alla prova siano misure efficaci per il reinserimento o si può fare di più?
«La messa alla prova credo sia un istituto valido, il problema è che stando alle statistiche la metà dei ragazzi che esce da Nisida e supera la messa alla prova, dopo poco è a Poggioreale. Noi come commissione infanzia siamo stati a Nisida e dopo la visita presentammo un emendamento che non fu approvato ma sul quale stiamo ancora lavorando. La proposta è questa: un ragazzo che si trova a Nisida deve fare dei corsi di preparazione al lavoro ma dopo deve essere assunto da qualche azienda del territorio che avrà degli sgravi fiscali e delle agevolazioni. Solo così noi li salviamo veramente, solo se usciti dal carcere iniziano subito a fare un lavoro per il quale hanno studiato in carcere».

Avatar photo

Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.