Quanti altri ne dobbiamo perdere?
Da Arturo a Giovanni, gli ingredienti per salvare i giovani a rischio (e i genitori): dal reddito di responsabilità alla scuola a tempo pieno

Da cinque anni a questa parte, dall’aggressione di Arturo a oggi, visito periodicamente i media, sempre tristemente in concomitanza di qualche “nuovo” brutto fatto di cronaca che ripropone questioni antiche, evidentemente mai risolte, che vedono puntualmente dei minori immischiati in fatti di violenza e criminalità. Sono cinque anni che la mia “esperienza di madre” torna alla ribalta delle cronache e la mia opinione trova diritto di cittadinanza mentre, in realtà, di queste vicende mi occupo da oltre 25 anni per ragioni di studio e di ricerca. Mi sento spesso chiedere: “professoressa ci indichi una strada, ci dia una soluzione, ci proponga una “ricetta” che possa aiutarci a sortire da questi drammi”.
Ebbene, quando mi sento rivolgere questa domanda mi viene da fare una considerazione: perché lo chiedono proprio a me? Io che non ho alcun ruolo, né istituzionale, né decisionale. Ne deduco che, evidentemente, è così palese il fallimento delle “istituzioni deputate” che avrebbero dovuto trovare nel tempo delle risposte a questi problemi che diventa, paradossalmente, interessante chiederlo proprio a una come me, visto che la soluzione dall’interno del sistema non arriva. È evidente che soluzioni facili per questo tipo di problema non ne esistono ma, se proprio di ricette vogliamo parlare, sarebbe quanto meno utile partire dagli “ingrediente essenziali” che naturalmente vanno posseduti e messi sul tavolo se vogliamo procedere alla preparazione del piatto. Gli ingredienti che da tempo vado enumerando sono esattamente quelli che emergono da molte indagini quali-quantitative e che ho sempre individuato come i cosiddetti “predittori del rischio” ovvero quelle pre-condizioni di vita e di crescita che determinano un rischio di devianza triplo rispetto ai minori che non sperimentano le stesse condizioni.
Per essere concreta, se un bambino nasce in un nucleo familiare a basso livello di istruzione dei genitori e cresce in un contesto ad alta povertà educativa, se ha nel suo nucleo familiare parenti reclusi o che vivono abitualmente in contiguità criminale, se subisce una scarsa qualità di cura educativa segnata da nessun incoraggiamento alla frequenza scolastica, se subisce la presenza irrilevante o la totale assenza della figura paterna, allora il rischio che diventi un deviante è altissimo. Questi gli “ingredienti” essenziali sui cui bisognerebbe lavorare per realizzare una “ricetta” di policy educative e sociali realmente efficace. Le materie prime vanno non solo individuate e procurate ma “lavorate” con strumenti e tecniche apposite. È evidente che se vogliamo preparare una maionese abbiamo bisogno di uova fresche, di un buon olio che va aggiunto a filo e di un valido sbattitore, alla giusta velocità, altrimenti il rischio che la nostra emulsione impazzisca è alto.
In concreto bisogna lavorare: 1. sull’infanzia e sulle famiglie attraverso quella che da tempo definisco “un’anagrafe del rischio”: un sistema di tracciamento ordinato e capillare che consenta di seguire certi bambini sin dal primo vagito; 2. servizi sociali che controllino le famiglie negligenti; 3. una scuola rigorosamente “a tempo pieno” nei quartieri a forte tasso di dispersione scolastica con docenti preparati ad interagire con ragazzi difficili; 4. una legge speciale regionale che regolamenti ed applichi misure stabilizzate a contrasto delle povertà educative attraverso un sostegno alle famiglie fragili mediante erogazione di un “reddito di responsabilità educativa” subordinato alla frequenza scolastica dei figli. Il sussidio a queste famiglie dovrebbe quindi diventare una sorta di aiuto di co-responsabilità verso chi si impegna a vivere nella legalità, a crescere i propri figli nelle regole portandoli a scuola, a nutrili adeguatamente, a far loro praticare sport, a portarli dal pediatra. Questi i cardini essenziali di una prevenzione intelligente e mirata, che guardi ai problemi non in termini di soluzioni sintomatiche ma di diagnosi e di “cura di precisione” senza la quale nessuna prognosi favorevole è prevedibile.
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