Il riscatto
Emergenza economica e sanitaria, il Sud dà lezioni al Nord
È ormai chiaro a tutti che le misure di distanziamento sociale sono utili sia a ciascuno di noi per limitare al massimo le probabilità di entrare in contatto con il virus sia agli altri qualora fossimo noi i vettori inconsapevoli del virus. C’è un doppio beneficio quindi: privato/individuale e pubblico/collettivo. Le nostre azioni non hanno conseguenze solo su di noi ma anche sugli altri. Questa “esternalità” (come la chiamano gli economisti) può portare a situazioni in cui si sta a casa meno di quanto sarebbe socialmente ottimale poiché non si valuta a dovere la componente pubblica del beneficio. E siccome non è pensabile basare l’#iorestoacasa esclusivamente sul codice penale, occorre che la componente pro sociale e altruistica sottesa ai nostri comportamenti faccia la sua parte. Su questo sfondo: come si sta comportando il Sud?
Molte analisi di economisti e sociologi hanno mostrato che diversi indicatori di civismo (il grado di fiducia negli altri, la partecipazione al voto, la frequenza con cui si acquisisce informazione politica, la densità associativa, la diffusione del volontariato e delle donazioni di sangue) sono purtroppo più bassi al Sud. Questa volta è diverso? Sarebbe molto auspicabile anche alla luce del fatto che le strutture sanitarie del Mezzogiorno sono senz’altro meno attrezzate per fronteggiare l’epidemia. Certo è difficile immaginare che il civismo, l’attenzione agli esiti collettivi delle decisioni individuali, facciano uno scatto in avanti nel giro di qualche settimana.
La fuga dal Nord al Sud delle scorse settimane sembra purtroppo confermare questa sensazione. Eppure… c’è un eppure molto interessante che merita di essere evidenziato. Ce lo offre con tempestività la ricerca “Covid-19 outbreak response: first assessment of mobility changes in Italy following lockdown”, redatta da un gruppo di data scientists (Emanuele Pepe, Paolo Bajardi, Laetitia Gauvin, Filippo Privitera, Ciro Cattuto, Michele Tizzoni – Isi Foundation, Cuebiq Inc. e Università di Torino). I ricercatori hanno studiato i movimenti geografici di un campione di circa 170.000 individui attraverso la geolocalizzazione dei loro smartphone. Questi movimenti sono stati tracciati nel periodo che va dal 18 gennaio, un mese prima del caso di Codogno, al 10 marzo, dopo la chiusura totale estesa all’intero Paese. In mezzo ci sono i diversi pacchetti di misure di restrizione. In questo modo è possibile vedere quanto le iniziative di contenimento siano state rispettate in diverse aree del Paese.
Il lavoro di ricerca mostra la variazione della frequenza con la quale si incontra un’altra persona – quale approssimazione del grado di mobilità – tra il 7-10 marzo e il periodo pre-Codogno. In più, sottolinea le diverse intensità di riduzione, evidenziando i cali più consistenti. I risultati sono molto incoraggianti per il divario Nord-Sud: la mobilità è calata drasticamente dappertutto, con il dato del Mezzogiorno sostanzialmente in linea col resto del Paese, specie se si tiene conto che alcune accentuazioni del Nord sono collegate alla presenza di focolai o al crollo del turismo invernale (è il caso della Valle d’Aosta).
Altri indicatori come gli spostamenti tra province e il numero medio di chilometri percorsi alla settimana confermano che il Sud sta facendo i compiti a casa (è proprio il caso di dirlo!) esattamente come gli altri. Queste evidenze, pur provvisorie e non basate su un campione rappresentativo in senso statistico, sono senz’altro un forte passo avanti rispetto all’aneddotica che sta invadendo i media con foto di capannelli di persone sparsi qua e là. Il Sud sta mostrando un comportamento pro sociale assolutamente allineato a quello del Nord: il Coronavirus come uno scossone che dà la sveglia civica.
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