Nonostante la chiara vittoria della coalizione di destra alle elezioni, il panorama della vita politica italiana resta ancora confuso. E, quel che è peggio, non si vedono per ora rapide prospettive di chiarimento. Cominciamo dall’opposizione. I dati dei sondaggi più recenti possono coltivare l’ambizione di Giuseppe Conte, capo di un suo partito personale, di egemonizzare la sinistra italiana, che sarebbe in tal caso un mix fra massimalismo (residuo del vecchio movimento di Grillo) e assistenzialismo meridionale. Senza nessuna speranza: un tale “cangatto” (copyright Giovanni Sartori) non ha alcuna chance di conquistare il centro-nord del paese, assolutamente necessario per una vittoria nazionale.

Ma non ha nemmeno nessuna possibilità di fagocitare il Pd. Il quale, se certo non sa che posizione prendere, diviso fra una decisa scelta socialdemocratica (di stile tedesco) e le sirene della vecchia sinistra, resterà unito, anche se rischia di perdere pezzi ulteriori del suo declinante elettorato – tema su cui il partito farebbe bene ad interrogarsi con un po’ più di sociologia politica circa le trasformazioni della società italiana. La scomparsa prossima ventura del Pd è una fantasia. Per quanto riguarda la lunga durata, sappiamo quello che diceva Lord Keynes. A destra, ergo nel campo del governo, nonostante la grinta e la buona volontà, la presidente del consiglio sembra non essersi ancora familiarizzata con la realtà della semi-sovranità, condizione in cui si trovano tutti gli stati membri dell’Unione europea. E in particolare i membri della zona euro. Se Meloni avesse preso sul serio la teoria dello stato sovrano – quella di Jean Bodin – dovrebbe sapere che la sovranità implica il potere dello stato di stampare la propria moneta. Potere che appunto non hanno i singoli membri della zona euro. Il senso di realtà dovrebbe farle capire anche che non tutti questi stati sono eguali. È vano invocare in tale caso l’idea egualitaria della sinistra.

La Germania con un basso debito pubblico non vale quanto l’Italia che a sua volta vale più di altri piccoli membri – perché il nostro paese, al di là di ogni retorica nazionalista, è oggi un vaso di coccio rispetto ad altri paesi. Meloni sta scoprendo anche che i partiti sovranisti degli stati dell’Unione stanno lì per impedire la cooperazione fra di essi. Il nostro governo non ha capito che il suo comportamento un po’ confuso e talvolta improvvido degli ultimi giorni intorno alla vicenda dei migranti avrebbe scatenato in Francia la reazione dura del Rassemblement National di Marine Le Pen contro Macron, che pure la presidente del consiglio sembrava a ragione aver scelto come partner previlegiato. Meloni deve convincersi che il suo principale nemico è il sovranismo. Da qui una specie di quadratura politica del cerchio. Se si è sovranisti non si può chiedere solidarietà e sforzi in via di compromessi ragionevoli e sperabilmente giusti, perché gli altri sovranisti lo impediscono. Non basta sapere chi sono i nostri potenziali amici, dobbiamo anche capire chi sono i nostri avversari, e questi sono i vecchi alleati nei paesi europei di quando FdI era all’opposizione.

Più in generale, per quanto riguarda la difficile gestione dell’immigrazione verso l’Europa, i torti stanno da tutte le parti. L’Italia ha ricevuto negli ultimi anni molto meno migranti di quanto abbiano fatto la Germania, la Francia, senza parlare della Polonia che accoglie oggi qualche milione di Ucraini (anche se il nostro paese ha subito di più gli arrivi provenienti dall’Africa). La mescolanza di nazionalismo e di vittimismo non serve affatto i veri interessi della nostra nazione. Quella che il governo deve proteggere. Solo con un serio negoziato con i paesi dell’Unione c’è qualche piccola speranza di gestire i flussi migratori. I partner europei del nostro governo, per parte loro, devono riconoscere lo svantaggio geografico dell’Italia, che senza nessuna sua responsabilità politica è vicinissima, come anche la Spagna (che tiene tuttavia un comportamento diverso dal nostro), alle coste africane. I gommoni non possono andare ad Amburgo o a Le Havre, vanno a Lampedusa. E questo non è colpa di Meloni. Ci auguriamo che il governo in carica ce la faccia a difendere gli interessi nazionali. Certo, in Europa con Draghi a Palazzo Chigi l’Italia era più forte di oggi.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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