“Capaci di tutto”: la definizione che ne diede Marco Pannella, quasi venti anni fa, regge ancora. Il centrodestra fa e disfa la crisi con manovre a matrioska. Ciascuna ne contiene un’altra. E la tensione tra le due ali di Forza Italia, quella governista e quella filoleghista, va plasticamente in scena con una litigata furibonda tra Licia Ronzulli e la ministra Gelmini. La prima, sfilando accanto al ministro, avrebbe commentato a voce alta nei suoi confronti “Vai a piangere da un’altra parte e prenditi lo Xanax”. Esplode la contraddizione tra gli azzurri a seguito della due giorni di consultazioni, tra un pranzo e una cena, nella villa romana di Silvio Berlusconi. Un lungo vertice che sembrava aver determinato una linea: avanti con Draghi, se M5s ne sta fuori. Poi si va in aula e quell’indicazione diventa un’altra cosa.

La Lega prende la guida. E Matteo Salvini ha l’occasione tanto attesa per rovesciare il tavolo. L’asse con gli azzurri è intessuto da tempo. Passa per il cerchio magico – Licia Ronzulli in testa – che circonda, sostiene e sorregge all’occorrenza anche fisicamente Berlusconi. Pierferdinando Casini ci prova: deposita una mozione di sostegno all’azione del governo Draghi che il presidente del Consiglio chiede di mettere ai voti come unico voto di fiducia. La risoluzione recitava: “Il Senato, udite le comunicazioni del presidente del Consiglio dei ministri, le approva”. Il centrodestra presenta prima una mozione, poi un’altra. Il testo viene riscritto, ne riceviamo due versioni. L’ultima recitava: “è disponibile a continuare a dare il proprio contributo per risolvere i problemi dell’Italia con un governo profondamente rinnovato rispetto agli indirizzi politici e nella propria composizione”. In sostanza Salvini, e dunque il centrodestra, chiedevano un rimpasto. Via la Lamorgese, dentro Salvini stesso, al Viminale. Un’asticella messa troppo in alto, appare subito chiaro a tutti che non può essere presa in considerazione.

Il governo pone la fiducia sulla sola mozione pacificatrice di Casini. Prendere o lasciare. E Salvini conferma: ‘Non la votiamo’. Dando la linea anche agli azzurri, che obtorto collo eseguono l’ordine. La decisione è quella di uscire dall’aula, di non votare. Una decisione che manda su tutte le furie l’ala riformista di Forza Italia. Maria Stella Gelmini, tra le cofondatrici di FI e attuale ministro degli Affari regionali, è indignata. Se ne va sbattendo la porta, seguita questa mattina dal collega di governo e partito Renato Brunetta. E apre una breccia nella quale altri potranno seguirla. «Questa Forza Italia non è il movimento politico in cui ho militato per quasi venticinque anni: non posso restare un minuto di più in questo partito», ha dichiarato dando fuoco alle polveri. Ed ha aggiunto: «Forza Italia ha definitivamente voltato le spalle agli italiani, alle famiglie, alle imprese, ai ceti produttivi e alla sua storia, e ha ceduto lo scettro a Matteo Salvini». Da noi interpellato, il senatore triestino Franco Dal Mas non nasconde il suo smarrimento: «Non sono entusiasta di questa decisione», ammette amareggiato, «Ma sono uscito dall’aula per disciplina di partito».

Dice invece di no all’indicazione del gruppo il senatore Andrea Cangini: «La demagogia si è mangiata la politica non solo a causa della velleità del M5s, del Pd che pone questioni identitarie, dell’approccio alla politica di Matteo Salvini. Non parlo di Fi per questione di stile. Dopo aver votato la fiducia per 55 volte al governo Draghi e sentito quello che ha detto oggi non v’è un fatto politico che cambi il mio voto. Voterò la fiducia», ha comunicato l’ex direttore del QN. Di uscite dagli azzurri ne potrebbero seguire: si attende una decisione da Mara Carfagna, mentre Renato Brunetta è trincerato in un silenzio istituzionale. Essendo ministro più anziano del governo uscente, l’ipotesi che possa essere lui il “reggente” del governo, da traghettare verso le elezioni con il pilota automatico dell’ordinaria amministrazione, rimane in piedi. «Si chiude questa sera la storia trentennale di Forza Italia», può dire Osvaldo Napoli, deputato azzurro di lungo corso passato di recente con Azione.

«Il partito che era stato cardine degli equilibri politici per un ventennio si avvia al tramonto nel peggiore dei modi, affidando la cura di quel che resta nelle mani di Matteo Salvini». E c’è di più, a sentirlo: «Il centrodestra perde ogni impronta di liberalismo e popolarismo e da oggi è uno schieramento sovranista e populista. 5 stelle, Forza Italia e Lega hanno voltato le spalle all’Italia. Alle famiglie che aspettano un sostegno per le bollette elettriche, alle imprese strangolate dal costo dell’energia, ai Comuni che vedranno bloccarsi i progetti finanziati dal Pnrr. I calcoli di bottega hanno prevalso sulle ragioni della politica e degli interessi degli italiani», sintetizza. «Salvini e Berlusconi si sono messi a braccetto con l’arroganza folle di Giuseppe Conte. Loro hanno messo la firma sulla fine del governo che aveva riguadagnato autorevolezza e credibilità all’Italia. Di questo – conclude – dovranno rispondere agli italiani e per questo saranno giudicati dagli elettori». Lo schieramento di centro, Noi con l’Italia, Italia al Centro, per intenderci Toti e Brugnaro, Quagliarello e Lupi, votano in direzione opposta: fiducia a Draghi. Il giorno del big bang del centrodestra moderato è arrivato. Oggi alla Camera va in onda il secondo tempo.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.