È reduce da una missione parlamentare a Kiev. Le sue riflessioni sono anche il portato di quello che ha potuto riscontrare sul campo. La guerra in Ucraina, il rapporto Italia-Usa, il ruolo dell’Europa e il piano inclinato nel rapporto tra sinistra e pacifismo. Il Riformista ne discute con Lia Quartapelle, capogruppo del Pd alla Commissione esteri della Camera, responsabile Europa, Affari internazionali e Cooperazione allo sviluppo nella segreteria nazionale del Partito democratico.

Dopo l’incontro a Washington tra Biden e Draghi si è scritto di un “patto della Casa Bianca”. Fuori dall’enfasi titolistica, lei come la vede?
Molte delle sfide di questa nuova fase delle relazioni internazionali passano dall’Italia: il rafforzamento dell’integrazione europea, le nuove rotte di approvvigionamento energetico, il rapporto con i paesi dei Balcani, del Mediterraneo e dell’Africa che rischiano di subire l’instabilità derivante dall’aggressione russa. Il colloquio con Biden va letto in questo quadro. L’Italia si trova in una posizione privilegiata per contribuire autonomamente e con autorevolezza a queste sfide, potendo contare sullo spessore personale del premier, sul posizionamento geografico del nostro paese, sulla tradizione di diplomazia costruttiva della nostra politica estera. Draghi lo ha fatto anche a Washington, facendo sintesi delle posizioni europee anche con gli alleati Nato.

Lei è reduce da una missione in Ucraina. Qual è l’impressione che ne ha ricavato dal campo?
Che fosse assolutamente necessario e giusto essere lì. Con Riccardo Magi abbiamo deciso di aderire alla missione organizzata dalla rete interparlamentare United for Ukraine, su invito del presidente del parlamento ucraino Ruslan Stefanchuk, per portare solidarietà alle istituzioni di quel paese e raccogliere impressioni di prima mano sull’andamento della guerra e sulle prospettive politiche della risposta ucraina all’aggressione della Federazione russa. Sono rimasta molto colpita dalla portata delle violazioni dei diritti umani e dei crimini di guerra compiuti dall’esercito russo in Ucraina: stupri sistematici, distruzione dei luoghi di cultura e roghi di libri in lingua ucraina, deportazioni forzate di centinaia di migliaia di cittadini ucraini verso la Russia, adozioni di bambini ucraini da parte di famiglie russe, a cui si aggiunge la distruzione materiale, feroce e insensata, di abitazioni, negozi, strade e infrastrutture. Lo schema è chiaro: l’aggressione della Federazione Russa ha l’obiettivo di annichilire il diritto a esistere dell’Ucraina come nazione libera e sovrana. Il Parlamento ucraino chiede che quelli che si stanno commettendo in Ucraina vengano riconosciuti come crimini di genocidio. Finora solo i parlamenti dell’Estonia, della Lituania, della Lettonia e del Canada lo hanno fatto. Credo che la questione debba essere affrontata anche dal Parlamento italiano. A tutto questo l’Ucraina sta rispondendo con una notevole capacità militare: durante la missione abbiamo visitato alcuni dei territori liberati dalla controffensiva dell’esercito di Kyiv. Forse non è chiaro in Italia che l’esercito russo è in grande difficoltà e che il sostegno anche militare che si sta dando all’Ucraina ha permesso a quel paese di reagire e evitare la capitolazione. Kyiv non si sta limitando all’iniziativa di carattere militare: ha chiesto a tutti i paesi che credono nella forza del diritto internazionale di collaborare affinché i crimini di guerra commessi dai militari russi vengano perseguiti dalla Corte penale internazionale e dai tribunali locali ucraini. Finora l’ufficio del Procuratore generale ucraino, sostenuto dalla Corte penale internazionale e da team di esperti di vari paesi, ha aperto 9.247 indagini su crimini di guerra. Questo modo di procedere dimostra notevole maturità politica da parte di Kyiv, che chiede giustizia e non cerca vendette sommarie.

Si dice: sostenere la resistenza ucraina, anche militarmente, è condizione imprescindibile per arrivare poi a negoziare una pace giusta. Ma è davvero questa, una pace giusta, il fine del sostegno all’Ucraina oppure, come hanno esplicitato il segretario Usa alla Difesa, Lloyd Austin, e il premier britannico, Boris Johnson, l’obiettivo finale è quello se non di abbattere il regime “putiniano” quanto meno indebolirlo fortemente?
Gli ucraini vogliono liberare il proprio paese dall’occupazione russa, ingiusta e odiosa, anche perché questa è responsabile di centinaia di crimini di guerra. Che pace può esserci se le truppe russe occupano il territorio ucraino, stuprando le donne e i bambini, distruggendo le case, assassinando civili inermi? I paesi alleati dell’Ucraina forniscono le armi per l’unico obiettivo militare dell’Ucraina cioè resistere e respingere l’esercito invasore. Al sostegno militare si aggiungono le sanzioni, che servono a togliere a Putin i mezzi economici per continuare la guerra, e sono altrettanto importanti. Durante la missione non abbiamo mancato di discutere del futuro rapporto che l’Ucraina, e l’Europa, dovranno imbastire con la Federazione Russa. Nessuno dei nostri interlocutori – tra cui il Presidente del Parlamento, il ministro della Giustizia, vari esponenti del ministero della Difesa – infatti si immagina che l’Ucraina invada la Russia. Chi vagheggia altre intenzioni al di là della difesa dell’indipendenza dell’Ucraina si troverà davanti alla determinazione degli ucraini a fare le scelte migliori per il proprio paese, cioè a non proseguire la guerra un minuto più del necessario a cacciare i russi e riaffermare l’integrità territoriale ucraina.

Molto si parla di un ulteriore allargamento della Nato a Nord-Est, con l’ingresso di Finlandia e Svezia, mentre poco si ragiona e ancor meno si realizza quanto ad un rafforzamento politico dell’Unione Europea, anche con la creazione della tanto evocata difesa comune. Come se lo spiega?
In Italia sento spesso commenti preoccupati relativamente alle esigenze di sicurezza della Russia. Ci sono molte meno persone partecipi dei timori di chi confina con la Russia, un paese che ha invaso i propri vicini più volte, nel 1999 (Cecenia), nel 2008 (Georgia), nel 2014 (Crimea e Donbass) e nel 2022. La Russia fa paura ai paesi confinanti che hanno nuove necessità di difesa: è così che si spiega la decisione di Finlandia e Svezia, paesi storicamente neutrali, di aderire alla Nato. La protezione che può dare la Nato è immediata, mentre la difesa comune europea ancora non è operativa. Ma sarebbe sbagliato contrapporre Nato e difesa comune europea: i paesi europei già cooperano nella Nato e lì si possono sperimentare ulteriori forme di collaborazione militare che facilitino la nascita di una difesa europea. Quello che manca, o che quantomeno si dovrà rafforzare, è l’unità politica degli intenti europei. L’Europa ci ha sorpreso positivamente nelle reazioni dei primi giorni di fronte all’aggressione russa: Putin è riuscito in poche ore a creare una consapevolezza comune in tutti gli Stati europei che l’Europa tutta sta affrontando la stessa minaccia. Ora che si deve rafforzare la costruzione europea non solo per reagire a una minaccia ma per agire come attore di politica internazionale, l’Europa affronta qualche titubanza in più. Questo è anche comprensibile, visto che si devono allineare interessi diversi (pensiamo ad esempio alla sicurezza energetica) e affrontare riforme attese da anni (ad esempio l’abolizione del principio delle decisioni a maggioranza). Ma è necessario che tra la fine della Conferenza sul Futuro dell’Europa e il Consiglio europeo di giugno si mettano le basi perché l’Unione europea sia finalmente un attore politico anche sulla scena internazionale. Altrimenti a prevalere saranno le spinte contrapposte tra Europa continentale e paesi di recente ingresso, tra Europa dell’est e Europa del Sud. Le divisioni europee sono quello su cui punta Putin. Dobbiamo darci da fare e riprendere con coraggio il cammino di una maggiore integrazione. Il segretario del Partito Democratico Enrico Letta ha avanzato una serie di proposte su questo, riprese anche da Macron nel suo discorso: da tutti gli altri leader dei partiti italiani c’è un silenzio assordante. Peccato che questa sia la partita più strategica per il nostro continente. Possibile che nessun altro abbia qualcosa da dire?

La sinistra e il movimento pacifista. Il voto sul “decreto Ucraina” e ancor più quello sull’aumento delle spese militari, ha sancito una frattura insanabile?
Mi sono riconosciuta nelle parole di Cecilia Strada quando ha scritto che «si sta dalla parte delle vittime perché tra carnefice e vittima si protegge la vittima». Come scriveva Luigi Manconi in un bell’editoriale di qualche giorno fa, quello che stiamo vivendo è un tornante della storia che mette ciascuno di fronte a domande esistenziali come «quali rischi sono disposto a correre per la libertà». Non ci sono schieramenti preconfezionati a una domanda così difficile e per questo c’è una trasversalità politica nel sostegno anche militare a Kyiv.

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato che la Commissione «pensa di dare la sua opinione nel prossimo giugno» per ciò che concerne l’ingresso nella Ue dell’Ucraina. Come la vede?
L’Unione europea ha garantito agli stati membri 77 anni di benessere economico e stabilità e pace. La migliore garanzia di sicurezza per il futuro dell’Ucraina è l’adesione all’Unione europea, così come la migliore garanzia di pace per l’Europa è integrare l’Ucraina. Questo richiederà la modifica dei Trattati e eventualmente anche la creazione di una Confederazione politica per accelerare il percorso di avvicinamento politico dell’Ucraina, della Georgia e della Moldavia.

Intervenendo al termine della Conferenza sul futuro dell’Europa, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha affermato che «la pace non si costruisce con l’umiliazione di Mosca, non dobbiamo cedere ai revanscismi», per poi schierarsi con von der Leyen per lo stop all’unanimità. È la linea da seguire?
La pace, che tutti cerchiamo, deve essere una pace giusta. E questa si raggiunge tenendo insieme due elementi imprescindibili, sottolineati entrambi da Macron nel suo discorso: il sostegno all’Ucraina, con ogni mezzo possibile. E evitare quello che nella storia europea ha portato a guai peggiori, cioè l’umiliazione e lo spirito di vendetta.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.