Chi si aspettava che nella bozza della manovra economica trovassero posto anche le prime risorse del fantomatico patto per Napoli, è rimasto deluso. Dagli incontri che il sindaco Gaetano Manfredi e l’assessore Pier Paolo Baretta hanno avuto rispettivamente col premier Mario Draghi e con i tecnici del Ministero delle Finanze, infatti, è emerso che per gli enti in predissesto è previsto, al momento, solo un fondo di circa 300 milioni di euro, 120 dei quali destinati a Napoli.

Non è da escludere, però, che questa dotazione aumenti a 600 milioni, con la conseguenza che al capoluogo campano ne verrebbero assegnati 240 da sommare altri 240 previsti dal decreto Sostegni bis. Ben poca roba rispetto al debito da oltre tre miliardi che grava sulle casse di Palazzo San Giacomo, ma anche rispetto alla pioggia di risorse assicurata dai vertici di Partito democratico, Movimento Cinque Stelle e Liberi e Uguali all’inizio della campagna elettorale per le comunali. È vero, c’è tempo fino a dicembre per invertire la rotta e Manfredi l’ha precisato. Nel frattempo, però, un primo bilancio della strategia politica messa in campo dal centrosinistra per salvare Napoli dal crac va fatto. Prima osservazione: il patto per Napoli, come il Riformista e tanti addetti ai lavori hanno sottolineato in tempi non sospetti, altro non è che una mera dichiarazione d’intenti proveniente da un solo schieramento politico.

Un atto di propaganda elettorale «privo di un vero fondamento nella realtà politica e istituzionale», come ha giustamente evidenziato il neo-consigliere comunale di opposizione Antonio Bassolino. Affidarsi all’ottimismo di Enrico Letta, Giuseppe Conte e Roberto Speranza, fino a questo momento, è stato un atto di profonda ingenuità e di grande miopia. Più saggio sarebbe stato intavolare una trattativa direttamente col governo Draghi e magari coinvolgere l’intera maggioranza parlamentare con l’obiettivo di mettere in sicurezza tutte le amministrazioni prossime al default. Anche perché adesso, dopo l’atteggiamento rigido mostrato da Draghi, è lo scontro tra le forze politiche che potrebbe affossare il patto per Napoli o qualsiasi altra forma di sostegno economico-finanziario alle amministrazioni in difficoltà.

Ragion per cui sarebbe il caso di cambiare strategia. Una situazione tanto delicata non può essere gestita ancora con la solita, interminabile serie di faccia a faccia più o meno segreti nelle “sacre stanze” romane. Serve un ampio dibattito e una mobilitazione altrettanto ampia su ciò che va fatto per salvare dal crac e rimettere in moto l’intera macchina comunale. Il che vuol dire coinvolgere le opposizioni, ma anche le forze produttive e le associazioni di Napoli perché in gioco c’è l’interesse generale. E a guidare questo movimento non può che essere Manfredi, forte del consenso ricevuto alle elezioni e di un’autorevolezza quasi unanimemente riconosciuta. Altrimenti a pagare il prezzo sarà sempre e soltanto Napoli, prima ancora del governo nazionale di turno o dei partiti di centrosinistra che si sono immancabilmente eclissati dopo i primi “niet” opposti da Draghi a Manfredi.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.