Il dramma dietro le sbarre
“In cella niente diritto alla salute: che aspetta il Dap a intervenire?”, parla il procuratore Aldo Policastro
«Il carcere, così com’è oggi, va ricivilizzato. La qualità del trattamento riservato ai detenuti è inaccettabile, soprattutto per quanto riguarda il diritto alla salute». La pensa così Aldo Policastro, magistrato di lungo corso e da tempo alla guida della Procura di Benevento. È lui il capo dell’ufficio che sta indagando sulla morte di Mirko, il 27enne napoletano affetto da disturbi della personalità che si è recentemente impiccato nel carcere sannita. Sulla vicenda la Procura indaga senza escludere alcuna pista: gli inquirenti sono al lavoro per capire se si sia trattato effettivamente di suicidio o se il giovane sia stato in qualche modo indotto a compiere l’estremo gesto o, ancora, se la sua morte sia il frutto di omissioni o deficit di assistenza medica.
La vicenda, d’altra parte, riaccende i riflettori proprio sul tema delle cure garantite a chi vive dietro le sbarre, a cominciare da chi vive quotidianamente il disagio psichico. Non si tratta di casi isolati se si pensa che, secondo il garante campano, il 65% dei reclusi convive con un disturbo della personalità e gli psicofarmaci costituiscono il 43% dei medicinali somministrati dietro le sbarre. «Il diritto alla salute è quello che patisce le maggiori sofferenze – sottolinea Policastro – e, in particolare, la salute mentale vive una condizione drammatica in tutti i penitenziari. Le cure sono palesemente inadeguate, il che rende ancora più inaccettabili i suicidi dei detenuti con problemi psichici».
Il procuratore sannita è da sempre particolarmente attento al tema della detenzione. In passato ha visitato più volte i penitenziari di Benevento e di Ariano Irpino, che ricadono sotto la sua giurisdizione, e l’istituto per minorenni di Airola. E non ha potuto fare a meno di notare la scarsa qualità del trattamento riservato ai carcerati. «Pesano la mancanza di articolazioni psichiatriche specifiche in molte strutture e il fatto che psicologi e psichiatri siano disponibili in modo “puntiforme” – aggiunge Policastro – L’assistenza, invece, dovrebbe essere costante. E poi gli spazi per la socialità e le attività per il reinserimento sociale dei detenuti sono troppo scarse. Senza parlare del personale. Così non va, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria dovrebbe affrontare questi temi».
Sullo sfondo resta il problema del sovraffollamento: in Campania sono circa 400 i detenuti “di troppo” nei 15 penitenziari e circa il 40% della popolazione carceraria totale è in attesa di giudizio. Non sarebbe il caso che le Procure facessero ricorso meno facilmente alla custodia cautelare? «Secondo me non si ricorre a questo strumento a cuor leggero – replica il procuratore di Benevento – La magistratura ha raggiunto una consapevolezza dei diritti di indagati e imputati che mi porta a escludere un troppo facile ricorso alla custodia cautelare in carcere. Ciò non toglie che il carcere debba essere ridotto al minimo e che debba trovare più spazio, invece, una giustizia riparativa seria. Il che significa dotare il sistema di strutture e risorse adeguate, se si vogliono evitare farse burocratiche».
Insomma, servono misure strutturali capaci di velocizzare i processi, ridurre i tempi di attesa delle sentenze e garantire ai detenuti un trattamento in linea con quanto stabilito dalla Costituzione. Come si fa? «Serve una decisa depenalizzazione – conclude Policastro – Le contravvenzioni punite con sanzioni pecuniarie o con l’arresto vanno derubricate a illeciti amministrativi e trattati di conseguenza. Solo in questo modo si può ridurre, in prospettiva, la mole di lavoro per gli uffici giudiziari. Ma c’è bisogno di una svolta culturale: in Italia non si può andare avanti configurando come reato qualsiasi comportamento. Così si paralizza tutto»
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