A vent’anni da L’Uomo in più, il premio Oscar Paolo Sorrentino è tornato a girare a Napoli È stata la mano di Dio, il film sulla sua adolescenza, la sua passione per Maradona e la perdita dei suoi genitori. Non poteva che essere Napoli dunque la città dove presentarlo in anteprima per inaugurare l’uscita in sala dal 24 novembre e su Netflix dal 15 dicembre. Emozionato, accanto ai suoi attori Toni Servillo, Filippo Scotti, Luisa Ranieri, Teresa Saponangelo, Sorrentino si dedica a raccontare il suo film che, dopo aver vinto il Gran Premio della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia è pronto per rappresentarci nuovamente agli Oscar.

Come si sente nel presentare il suo film nella sua Napoli
Avevo grande voglia di tornare a fare un film a Napoli, che la città fosse protagonista, e non tangente come ne L’uomo in più. Sono molto emozionato anche perché qui il film viene compreso in tutte le sue sfumature.

Com’è cambiato il suo rapporto con il dolore dopo aver raccontato la sua storia?
Parlare sempre di questo film come mi sta capitando in questi ultimi mesi ha fatto sì che il racconto del dolore sia diventato quotidiano e anche noioso. Racconto non più a me stesso ma agli altri e questo è di grande aiuto. Annoiarsi mi sembra una buona scorciatoia per non occuparsi più delle proprie pene.

I padri sono centrali nel film, sia quello interpretato da Toni Servillo che quelli cinematografici come Antonio Capuano.
Ho perso mio padre a 16 anni e mi è mancato il passaggio, nell’adolescenza, in cui vivi il conflitto e non è un caso che abbia incontrato Capuano con cui il conflitto è parte decisiva del rapporto. Quando gli raccontai il mio primo film L’uomo in più mi contraddiceva su tutto ma mi ha aiutato a fare un film migliore. Ho sempre cercato persone con le quali avere un rapporto autentico, così è stato anche con Toni Servillo fin dalle prime volte. Un rapporto basato sulla critica ha a che fare con una funzione paterna.

Che cosa pensa di come è stato accolto il suo film all’estero?
Penso che È stata la mano di Dio abbia una riconoscibilità immediata perché parla in maniera molto semplice e diretta di sentimenti che appartengono a tutti. Forse all’estero faticano a credere che alcuni personaggi possano essere reali e pensano che siano frutto di una messa in scena grottesca. Io invece spiego che noi napoletani sappiamo che tutto è possibile. Per ora, come speravo, si ride e si piange. Purtroppo, alla fine delle proiezioni spesso devo ascoltare da parte di molti spettatori dei lutti simili ai miei.

Le Figaro ha parlato di Napoli come terzo mondo, cosa sogna per la sua città?
Dato che non voglio entrare in discorsi politici e sociologici, non spero niente, mi sembra che Napoli se la cavi egregiamente da moltissimo tempo ed è pure difficile pensare a dei cambiamenti per una città che invece credo che chi viene da fuori declina a modo suo. Non è facile per questa città diventare altro da quel che è.

Nel film vediamo un set anni ‘80: che differenze ha riscontrato tra il girare a Napoli vent’anni fa e oggi che la città è diventata una mecca per il cinema?
È diverso perché quando io vedevo i set di Capuano e Martone da ragazzo tutto destava in me stupore e meraviglia, ormai da anni faccio questo lavoro e la meraviglia rispetto al set si è mitigata. Quando si gira un film non ho una percezione della città intorno, entro nella bolla del set.

Dopo l’Oscar a La grande bellezza, cosa si aspetta da questa nuova corsa alla statuetta?
Ho più consapevolezza del fatto che è qualcosa che non puoi controllare. Devi fare il lavoro e sperare, perché il percorso per arrivare all’Oscar è lungo, complicato e pieno di bei film e bisogna solamente vedere cosa succede.

Che messaggio c’è per i ragazzi che vedranno il film?
C’è, nonostante gli ostacoli, un’idea di futuro. Quando si è adolescenti specialmente in questo momento storico, uno può non vedere un futuro per sé e invece questo film vuole dire che un futuro c’è sempre anche se è invisibile a 17/18 anni.

È stata la mano di Dio è più essenziale. Lo ha richiesto il tema o è un cambiamento definitivo?
Ogni film richiede un suo stile, la cosa più importante era che venisse fuori la verità da parte dei personaggi e, per ottenerla, gli attori dovevano avere la percezione di essere liberi e non dovevano costringersi in uno stile che io adottavo prima, che li limitava molto. Toni ne sa qualcosa. Ho ammirato colleghi che facendo film semplicissimi ottenevano grandi risultati e ho deciso di provare anche io.

Quali sono stati i suoi riferimenti cinematografici in questo caso?
Questo film non ha molti riferimenti cinematografici ma, se ce ne deve esser uno, è Troisi regista. Il mio unico nume tutelare è stato lui e non Fellini.

Il protagonista esterna la difficoltà a perseguire la felicità. Qual è stato il suo giorno più felice?
Sono già felice di aver fatto il film, mi sembra abbastanza incredibile.