Il summit nella Capitale
Intervista a Sergio Romano: “La leadership di Biden non c’è più, Draghi non ha lo stemma dell’Italia sul petto”
Comunque lo si guardi, il G20 di Roma è stato un evento che ha fatto per due giorni di Roma (e dell’Italia) la Caput mundi internazionale. Il Riformista ne torna a discutere con una delle massime autorità nel campo della diplomazia e della politica estere: l’ambasciatore Sergio Romano. Nella sua lunga e prestigiosa carriera diplomatica, è stato, tra l’altro, ambasciatore presso la Nato e ambasciatore a Mosca (1985-1989), nell’allora Unione Sovietica. E stato visiting professor all’Università della California e a Harvard, e ha insegnato all’Università di Pavia, a quella di Sassari e alla Bocconi di Milano. Tra i suoi numerosi libri, ricordiamo, Merkel. La cancelliera e i suoi tempi (con Beda Romano, Longanesi, 2021); Processo alla Russia. Un racconto (Longanesi, 2020); Atlante delle crisi mondiali (Rizzoli, 2018); Il rischio americano (Longanesi, 2003); Il declino dell’impero americano (Longanesi, 2014); Trump e la fine dell’American dream (Longanesi, 2017).
Dal G20 di Roma sono uscite fuori tante dichiarazioni d’intenti, alquanto impegnative, ma impegni proiettati al 2050 se non a fine secolo. Come la vede?
A me sembra che il G20 sia molto ambizioso e abbia la speranza di diventare una sorta di Onu economico-sociale. Mi sembra che questi siano gli obiettivi che alcuni Paesi vorrebbero raggiungere. Il periodo è particolarmente interessante ma anche difficile…
Perché, ambasciatore Romano?
Anzitutto perché stiamo passando da un’epoca in cui vi era una leadership riconoscibile e riconosciuta che era quella degli Stati Uniti. Adesso quella leadership non c’è più. Certo, esiste sempre un Paese importante che bisognerà ascoltare, con cui occorrerà lavorare, ma quella leadership data per scontata non c’è più. A ciò va aggiunto che il G20 arriva a riunirsi in una fase in cui i risultati della pandemia si stanno rivelando sempre di più economici e sociali. Innanzitutto hanno messo sul lastrico una massa di lavoratori che hanno perso il loro lavoro, i loro compiti, la ragione stessa dell’esistenza dell’azienda per cui lavoravano. E poi c’è la ricaduta di vecchie crisi finanziarie che continuano a pesare sulla finanza mondiale. Il G20 a questo punto è sovraccarico di impegni e d’incarichi. Ce la farà? Certamente sono ambiziosi, altrimenti non avrebbero redatto quella dichiarazione finale di una trentina di pagine. Vogliono essere l’Onu dei Paesi che contano sotto il profilo politico ed economico.
Nella due giorni di Roma sono spiccate due assenze pesantissime: quelle del presidente cinese Xi Jinping e del suo omologo russo Vladimir Putin. Si può pensare ad una governance mondiale in assenza di due potenze quali Cina e Russia?
Per la verità non sono stati completamente assenti, perché erano connessi in video conferenza. C’erano e non c’erano. La sedia ideale non l’hanno perduta. Volevano conservarla e l’hanno occupata in rete. Il problema è che quei due Paesi hanno lo stesso problema. Erano un impero. Un impero fondato sull’ideologia. Quell’ideologia è morta, ma loro non vorrebbero rinunciare a tutto quel potere e a quella influenza internazionale di cui godevano quando il comunismo era ancora vivo. E allora la Russia sta cercando di creare un gruppo di Paesi che le siano se non soggetti almeno vicini. E anche la Cina sta facendo qualcosa del genere nell’area asiatica. Questi due Paesi, con i loro leader, non sono venuti perché temevano di essere messi in fila nella folla. Ma non erano nemmeno completamente assenti.
Questo G20 ha segnato anche una uscita e una entrata. L’uscita della cancelliera Merkel e l’ingresso, per la prima volta da premier, di Mario Draghi. Siamo ad una sorta di passaggio delle consegne in Europa?
La signora Merkel lascia un vuoto? Anzitutto si dovrebbe dare una risposta questa domanda. Io non ho mai pensato che la signora Merkel fosse così indispensabile. Non c’è dubbio che avesse una forte reputazione, le si dava retta quando parlava. La mia impressione è che possiamo vivere senza la signora Merkel. Quanto a Draghi, ha molta autorevolezza. Questa autorevolezza mi sembra molto meritata. E mi sembra anche esercitata con molta discrezione. Siamo fortunati ad avere un Draghi. Che non sarà però il nostro rappresentante. Lui è un personaggio internazionale. Non ha lo stemma dell’Italia dipinto sul petto.
A proposito di prime volte. Il G20 di Roma ha rappresentato anche la prima volta, da presidente, di Joe Biden. È stato all’altezza delle aspettative o ci si aspettava troppo da lui?
Lui ha un problema molto difficile. Ha ereditato la presidenza degli Stati Uniti. I suoi predecessori, quando entravano alla Casa Bianca, sapevano di avere alla porta dello Studio Ovale la lista di quelli che ambivano a parlare con il Presidente per sapere cosa dovevano fare. Oggi non c’è la fila. La presidenza degli Stati Uniti continua ad essere una carica molto importante ma quella leadership che i suoi predecessori avevano quasi automaticamente, non c’è.
C’è anche un problema di caratura del personaggio? Un deficit di personalità?
A me Biden sembra un gentiluomo. Una persona perbene, seria e credo anche consapevole che il ruolo del suo Paese sta cambiando.
Una cosa che non cambia, se non nei toni, è questa ossessione americana nei confronti del Gigante cinese. La metto giù un po’ brutalmente: è destino che la Cina venga vissuta come minaccia e non come opportunità, soprattutto dall’Europa?
Vede, io ho l’impressione che gli Stati Uniti in particolare non sono ancora capaci di rinunciare al desiderio di avere un Nemico. Avere un Nemico, per certi aspetti, per certi Paesi e per certi attori, rappresenta un vantaggio. Se fossi il presidente di un’azienda specializzata in strumenti militari in California, come ce ne sono tante, io vorrei un Nemico. Ho bisogno di un Nemico…
Ed oggi quel Nemico con la “n” maiuscola è la Cina…
Non può più essere la Russia, e dunque rimane la Cina. Mi lasci aggiungere in proposito che per quanto riguarda l’Europa non trovo particolarmente saggia, lungimirante, la politica delle sanzioni nei confronti della Cina, un Paese che nonostante la crisi planetaria ingigantita dalla pandemia, ha mantenuto uno straordinario tasso di crescita e nel 2020 è diventata il primo partner commerciale dell’Ue. Che sia una minaccia, mi pare francamente discutibile.
Ambasciatore Romano, vorrei concludere tornando all’Europa. In una nostra precedente conversazione su questo giornale, incentrata sull’uscita-fuga dell’Occidente dall’Afghanistan, lei aveva perorato la costruzione di un Esercito europeo. Vede passi in avanti in proposito, almeno nella consapevolezza dell’importanza del tema?
Sì. Io però ho smesso di chiamarlo Esercito. Credo che sia arrivata l’ora di creare la Legione europea. Quella mi sembra necessaria, perché non si può continuare a parlare di unità dell’Europa se poi mancano gli strumenti…
E uno di questi strumenti è quello militare?
Direi proprio di sì. Non uso la parola Esercito, perché è una parola carica di significati negativi. Ma la Legione non è certo un circolo di lettura.
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