“La leadership della Germania nella difesa della pace può rendere il mondo un posto più sicuro. Più lavoriamo insieme per la pace, più la Germania assume un ruolo guida nella difesa della pace, più stabilità ci sarà nelle relazioni internazionali”. È con queste parole rilasciate attraverso il proprio canale Telegram che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha parlato della sua visita a Berlino. Frasi in parte di circostanza, ma che rivelano anche il cambiamento nella percezione della Germania nello scacchiere strategico europeo e nei rapporti con Kiev, passati dall’incidente diplomatico con il presidente Frank-Walter Steinmeier – non voluto in Ucraina per i rapporti con la Russia – a questo elogio pubblico di Zelensky. Segnale di un’evoluzione che, vista la tradizione tedesca, può essere considerata una vera e propria rivoluzione.

Dall’inizio della guerra in Ucraina, la Germania del cancelliere Olaf Scholz ha cambiato in modo sensibile la propria postura internazionale. Prima dell’invasione russa, Berlino era considerata la capitale più vicina alla Mosca di Vladimir Putin, legata ad essa specialmente per il fattore energetico. La cosiddetta “Ostpolitik”, lo sguardo rivolto a est, era uno dei principali marchi di fabbrica della strategia tedesca, al punto da essere spesso messo in contrapposizione con la fedeltà atlantica e l’essere uno dei motori dell’integrazione europea. Scholz, appena arrivato alla guida del governo, sembrava volere perseguire questa agenda: la stessa di cui fu anche protagonista Angela Merkel. Poi, la decisione del Cremlino di scatenare il conflitto ha reso impossibile mantenere intatti i rapporti tradizionali con Mosca, costringendo così il cancelliere socialdemocratico a una virata di 180 gradi sintetizzata nel discorso della “Zeitenwende”, la “svolta epocale”. Una svolta strategica su diversi livelli, dalla spesa militare ai temi energetici, e che ha al centro un nuovo ruolo geopolitico della Germania, frutto dello strappo con la Russia e del nuovo vento atlantico sull’Europa.

Il sostegno militare all’Ucraina rappresenta il simbolo di questo rinnovamento della politica tedesca. Berlino è passata dai dibattiti sull’invio di soli elmetti all’approvazione dei carri armati Leopard a Kiev, e adesso, in concomitanza con l’ultimo tour europeo di Zelensky, i media hanno quantificato il nuovo pacchetto di aiuti militari promesso da Scholz in circa 2.7 miliardi di euro. La cifra record sottolinea come la Germania abbia di nuovo messo al centro della propria azione lo strumento militare, abbandonando in parte quell’idea di potenza “benefica” ed esclusivamente industriale radicata negli ultimi decenni, per fare spazio a una concezione di potenza diplomatica a tutto tondo. Una conferma di questa rinnovata spinta militare di Berlino è arrivata anche da una recente rivelazione di “Politico”, secondo il quale un eventuale futuro governo laburista britannico punterebbe a sottoscrivere, già nei primi sei mesi di vita, un trattato bilaterale di sicurezza con la Germania.

Secondo quanto scritto dal portale, il segretario ombra alla Difesa, John Healey, ha ipotizzato una formula identica a quella già prevista nel trattato tra Gran Bretagna e Francia. E il fatto che a parlarne siano due partiti di centrosinistra, il Partito laburista per Londra e il Partito socialdemocratico per Berlino, certifica come la nuova visione della Germania sia ormai considerata trasversale tra le forze politiche. Talmente condivisa, che addirittura unisce due Paesi che fino agli inizi della guerra avevano visioni molto diverse – se non diametralmente opposte – sugli indirizzi strategici dell’Europa e dei rispettivi governi. A partire proprio dai rapporti con la Russia, fino al ruolo geopolitico europeo.

Quest’ultimo punto è importante anche per capire come questa nuova Germania post-bellica si possa rapportare con la Francia. Non è un mistero che in questi anni Berlino e Parigi abbiano condiviso gran parte delle politiche europee e abbiano costruito un condominio strategico cristallizzato in modo inequivocabile dal Trattato di Aquisgrana siglato da Angela Merkel ed Emmanuel Macron nel 2019. Quel trattato non è certo scomparso, né è evaporato l’asse franco-tedesco. Tuttavia, la guerra in Ucraina ha inevitabilmente inciso sulla sinergia tra queste due potenze continentali. Berlino, come visto, ha cambiato la propria posizione nei confronti di Mosca e Washington e ha riconsiderato il proprio ruolo come membro e potenza Nato.

E questa rivoluzione interna alla Germania ha tolto alcune certezze nella strategia dell’alleato francese, che si ritrova ora a svolgere un ruolo diplomatico più da solista e per certi versi anche meno intransigente sulla gestione del conflitto rispetto a Berlino. Questa scelta per Macron si traduce anche nel battere su un tema da sempre caro al capo dell’Eliseo ma che in questo particolare momento storico sembra essere meno allettante per molte capitali del Vecchio Continente: l’autonomia strategica europea. A certificare l’importanza per il capo dell’Eliseo della concezione dell’Europa dal punto di vista geopolitico è stata l’ultima intervista rilasciata da Macron a “L’Opinion”.

Nella lunga conversazione con i giornalisti, il leader transalpino ha parlato dell’aggressione russa all’Ucraina definendola già ora una sconfitta geopolitica per Putin, ma ha anche sottolineato, dopo la conferma del pieno sostegno a Kiev, che è necessario pensare a un’architettura di sicurezza europea che “deve garantire pienamente l’Ucraina di domani” e che allo stesso tempo “dovrà progettare l’assenza di attrito con la Russia e ricostruire equilibri sostenibili”. Le parole di Macron sono giunte praticamente in contemporanea con il blitz a sorpresa di Zelensky a Parigi, dopo il quale è stato pubblicato un comunicato congiunto che ribadisce il sostegno francese “a realizzare il percorso dell’Ucraina verso la famiglia euro-atlantica”. La prospettiva dell’Eliseo rimane dunque quella del pieno impegno nella prospettiva di una graduale adesione formale di Kiev a tutto il blocco occidentale, sia all’Ue che alla Nato. Ma è altrettanto chiaro che da parte di Parigi vi sia l’idea di pensare a un’Europa che cominci a guardare oltre l’invasione scatenata da Putin. Una nuova strategia europea in cui sarà interessante comprendere quanto il condominio tra Francia e Germania possa resistere alla “Zeitenwende” tedesca, all’ambizione della leadership francese e al confronto sempre più serrato tra Stati Uniti e Oriente.