Molti continuano a chiedersi come sia cambiata la scuola dopo la traumatica esperienza del Covid-19 e in quali forme possa tornare alla ripresa settembrina. Stiamo parlando dell’istruzione nazionale, da intendersi in senso esteso, quale sistema complessivo di elaborazione del patrimonio culturale nel passaggio mirato fra le varie generazioni. Insomma il futuro dei nostri figli, la loro coscienza, l’idea che ci facciamo degli altri e di noi stessi. Come spesso si dice: questa dovrebbe essere (il condizionale è d’obbligo) di gran lunga la questione più importante da porre all’attenzione pubblica. Perfino le brillanti insegne del Recovery fund, al suo cospetto, dovrebbero ingiallire. Qui di seguito riassumo dieci nuclei tematici emersi nel dibattito delle ultime settimane a mio avviso meritevoli di analisi e riflessione.

1. L’emergenza ha determinato una radicale modernizzazione tecnologica imponendo per causa di forza maggiore una didattica on line da molti auspicata negli anni scorsi, eppure finora mai realizzata almeno nelle dimensioni che abbiamo adesso conosciuto. Fare lezione a distanza implica nuovi meccanismi logici di trasmissione del pensiero e addirittura una modalità espressiva diversa. Urge una formazione digitale specifica rivolta a docenti e scolari.

2. L’esperienza della scuola a distanza è stata più corale rispetto a quella consueta. In particolare la cosiddetta lezione frontale, che vede il docente da solo al centro dell’aula come uno spartitore di traffico concettuale, croce e delizia di ogni istruzione di stampo classico, non potrà essere abolita, ma dovrà venire integrata con altre forme più laboratoriali in grado di coinvolgere meglio gli studenti nei processi di apprendimento.

3. Pare incontestabile l’insostituibilità della presenza fisica dell’insegnante e degli allievi riuniti in un medesimo luogo: aula o altro. Appena sarà possibile ripristinare questa condizione naturale, nel rispetto delle necessarie misure di sicurezza, la scuola potrà tornare ad essere davvero se stessa. Non l’attrezzato, obbligatorio e provvidenziale suo manichino, come è accaduto da marzo a maggio.

4. La didattica a distanza, quando è stata vissuta nella forma migliore, ha consentito di scoprire gli ingranaggi della valutazione con il risultato di superare la deleteria finzione pedagogica: far finta di spiegare, far finta di ascoltare. Lo spettro del virus, scardinando la struttura scolastica, ha finito per rendere più autentici i rapporti personali fra giovani e adulti, uniti dalla comune, seppur proporzionalmente diversa, vulnerabilità, spingendo il docente a percepirsi come dovrebbe: non il giudice che aspetta al traguardo i concorrenti per registrare chi vince e chi perde, bensì una guida amica ma autorevole impegnata a realizzare l’obiettivo stabilito.

5. La preannunciata esigenza autunnale di creare distanziamenti strategici in funzione anticontagio porterà a scoprire e provare nuovi spazi didattici, all’interno della struttura scolastica, oppure al di fuori di essa, oltre i confini sempre più asfittici dell’aula ordinaria: ciò, se utilmente sperimentato, potrebbe rappresentare un’ulteriore spinta innovatrice.

6. Lo sconvolgimento del calendario ha talvolta smascherato l’anacronismo e la rigidità di alcuni vecchi schemi di studio: non tutti i contenuti risultano davvero imprescindibili. Da tempo si pensa di dover riscrivere i programmi scolastici anche rimodulandoli secondo ritmi e scansioni calibrate nell’ottica del ventunesimo secolo, lasciandosi alle spalle il concetto di classe chiusa che avanza compatta verso il diploma in tempi fissi. Potrebbe essere venuto il momento di farlo.

7. Il divario digitale emerso durante la pandemia è soltanto la punta di un iceberg, fra scuole e regioni all’avanguardia che marciano veloci su standard europei e altre zone del Bel Paese ancora bisognose di sostegno. In particolare nei mesi del confinamento sono rimasti spesso esclusi dal lavoro scolastico gli alunni disabili e molti ragazzi immigrati che soltanto grazie all’attività delle associazioni hanno potuto fare lezioni on-line.

8. La diseguale diffusione dell’epidemia nel territorio nazionale potrebbe comportare riaperture differenziate in base ai gradi di rischio che verranno accertati con la prevedibile conseguenza di accrescere le già forti autonomie degli istituti: anche questo è a giudizio di molti un fatto positivo.

9. La scuola on-line, oltre a comprimere le iniziative di alcuni alunni, ha incrementato quelle di altri: a volte i ragazzi più timidi, che in classe restavano in disparte, hanno partecipato in modo sorprendente anche agli occhi dei docenti, esprimendo attitudini a loro stessi ignote. Gli episodi di bullismo, a parte certi inediti teppismi informatici, sono diminuiti. Il che aggiunge legna al fuoco della discussione pedagogica.

10. Inutile negare che il periodo di interruzione coatta sia stato traumatico per i bambini e gli adolescenti. Anche i più inquieti e scalmanati, i quali all’inizio avevano festeggiato la chiusura delle scuole, a lungo andare hanno dovuto giocoforza ammettere che, restando a casa da soli di fronte al computer, si stavano annoiando. Il compito degli educatori dovrà quindi ripartire proprio da qui: se non dimenticheremo ciò di cui in molti abbiamo sentito la mancanza, rapporti sociali, promiscuità, animazione, sorrisi, abbracci e pacche sulle spalle, persino dalla tragedia del Covid-19 avremo imparato qualcosa.