Il presepe e il patriota sono i simboli di una destra che non cambia volto. La rinascita del natale in Giorgia Meloni è semplicemente la restaurazione di un potere plebiscitario che grida vendetta contro i politici traditori schiavi delle consorterie francesi. Comincia ad essere chiaro il suo uso stucchevole del natale a scopo di polarizzazione politica (patrioti contro servi) ricercata con gli arnesi classici della comunicazione populista. Anche l’allenatore della nazionale Mancini è stato convocato alla festa post-missina per la consegna di un bel presepe quale simbolo della lotta identitaria da ingaggiare non solo contro gli insidiosi invasori islamici, ma anche contro i grigi e materialisti burocrati di Bruxelles che dispensano raccomandazioni non proprio richieste sull’uso delle parole.

A Giorgia madre, cristiana etc. è venuta davvero l’illuminazione ossessiva per cui, nei tempi mediocri che corrono nel dibattito pubblico, per crescere nei consensi basta ergersi a difensori del Santo Natale creando bolle ingannevoli con una mobilitazione contro gli infedeli e un ricorso insistito a codici emotivi capaci di una penetrazione virale (spezzare le reni a Macron). In giro non si vedono mangiapreti. Al contrario. Da buon populista Conte conserva nel taschino l’icona di Padre Pio, vale a dire il santo pop per eccellenza. Renzi è un cattolico adulto, come Letta, che in aggiunta è pure un frequentatore di Lourdes. E il padano competitore che insidia i Fratelli d’Italia nel fronte destro esibisce sempre nella piazza un crocefisso e un rosario. Il più severo censore del populismo rimane il Papa. Verso la sua parola, Giorgia madre, cristiana etc. non mostra un grande rispetto. E anzi, come accade pure con Salvini, la destra, dinanzi all’obbedienza dovuta al magistero di Francesco, non disdegna di infrangere la tradizione con gesti di rivolta.
Anche se la cultura rossa è ormai scomparsa in Italia a Giorgia madre, cristiana etc., santina della post-verità, andrebbe rammentato che nessun materialista storico che si rispetti ha mai dichiarato la guerra santa contro i simboli religiosi. In una lettera del 24 dicembre 1859, Jenny Marx, la moglie di Karl, così scriveva: «Mio caro signor Engels, Le esprimo i miei ringraziamenti più vivi per la cesta natalizia. Lo champagne ci aiuterà a passare magnificamente questo giorno festivo altrimenti così malinconico, e ci procurerà una sera di Natale allegra. Quando lo champagne spumeggerà, le care bambine non rimpiangeranno il piccolo albero di Natale che quest’anno non c’è, e saranno nonostante tutto allegre e contente».

Anche Marx soleva aprire lo spumante al giungere della mezzanotte e, quando la miseria più estrema non lo assaliva, in casa allestiva un piccolo albero di Natale per poter festeggiare insieme alle figlie. La sua ambizione, si sa, era quella di fornire una critica radicale della terra. Il cielo lo lasciava volentieri agli uccelli, come suggeriva il suo Heine. Anche Jenny, che nella lettera ricordava con nostalgia l’aristocratico padre che “conosceva bene solo Shakespeare e non la Bibbia”, non rifiuta le contagiose atmosfere della festa. Sarebbe gradevole continuare a brindare alla vigilia senza essere assaliti dalle immagini pacchiane di Giorgia madre, cristiana etc. che con la sua rappresentazione polarizzata nelle forme di un discorso incivile si vuole appropriare dei simboli di una festa di tutti, costruendo sempre dei comodi nemici da brandire per raccattare con sentimenti di rabbia qualche stupido voto accordato per un mal di pancia.

Proprio la strategia di potere ritagliata attorno al Natale e al presepe confermano il volto vero di una destra che non cambia mai nel bisogno eterno di nemici (nella dinamica in-group versus out-group) e di una comunicazione condita con stereotipi negativi (Palazzo Chigi “è un ufficio dell’Eliseo”), con attacchi viscerali (“Letta è il Rocco Casalino di Macron”) per occupare gli spazi di visibilità pubblica. Il presepe e il patriota che Meloni vorrebbe al Quirinale evocano un mondo di tradimenti, servilismo che da sempre accompagna l’immaginario revanscista di un ancora temibile polo escluso che non riesce ad istituzionalizzarsi.