Alla fine, Giorgia Meloni avrebbe deciso: si sale sul cavallo Rai, e via, al galoppo. Dopo molta indecisione, il dado è tratto, e nei corridoi Rai si ricomincia a parlare di una nuova stagione, l’ennesima, che dovrebbe portare il tandem Roberto Sergio, attuale Direttore Radio Rai, e Gianpaolo Rossi, già Consigliere di Amministrazione Rai nella scorsa consiliatura, rispettivamente al vertice e alla Direzione Generale di viale Mazzini. Eppure, semmai sarà, sarà una corsa a ostacoli. Fra le fila del Governo, pur se non nel Consiglio dei Ministri di oggi, sarebbero comunque convinti della necessità di varare un decreto legge che porti a 70 anni il limite d’età per il pensionamento dei Sovrintendenti stranieri dei teatri italiani. Misura che offre il destro per un addio all’attuale Sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli, Stephen Lissner, al cui posto può essere nominato Carlo Fuortes (compito che spetta al Cda dello stesso Teatro), consentendogli successive dimissioni da viale Mazzini.

Cosa farebbe il Quirinale con un decreto dal sapore vagamente retroattivo (Lissner ha già compiuto 70 anni), che incide su un rapporto di lavoro in corso, e decapita il San Carlo? E siamo sicuri che, all’idea, esulti anche il governatore campano De Luca, che non conosce Fuortes, e che nel Cda del San Carlo conta due membri? Possibile decapitare l’attuale sovrintendente e nominarne uno nuovo senza l’espresso ok del Presidente della Regione? La cruna è stretta e la retromarcia di ieri sera dimostra che, se pur la volontà permanga, i nodi da sciogliere ci sono eccome . Quel che è certo è che Fuortes ha disperso in un amen il capitale di un buon rapporto con la Premier Meloni. Poi: sindacati sul piede di guerra, ritardi su piano industriale e contratto di servizio, per non paralre dell’incertezza sui palinsesti della prossima stagione, hanno incrinato il profilo di dirigente risoluto e risolutivo con cui Fuortes era sbarcato a viale Mazzini. Dove era stato indicato da Draghi, dopo la gestione col pugno di ferro del teatro dell’Opera di Roma.

Nei corridoi Rai, azienda capace di rivoltarsi in un attimo, appena annusata l’aria, ieri mattina invece l’altissima dirigenza ricordava le esitazioni dell’A.D.: da quella sui numerosi casi Ranucci, alla mancata querela sporta ai danni di Fedez dopo che il cantante aveva, dal palco del Concertone, accusato pubblicamente la Rai di censura, e i suoi fan avviato un massacro social ai danni della giornalista dirigente RAI, Ilaria Capitani. Per non parlare del mancato avvicendamento del Direttore degli Approfondimenti giornalistici, Antonio Di Bella, ormai in pensione, con Paolo Corsini, primo candidato a succedergli fino alla protezione offerta, contro l’uomo forte della Lega, Marcello Ciannamea, a Stefano Coletta, direttore dell’intrattenimento di prima serata, cui i detrattori rimproverano scelte onerose (“Non sono una Signora”, drag queen show ancora nel cassetto) e deludenti sotto il profilo degli ascolti (“Il Cantante Mascherato”, costo medio attorno al 1,3 milioni a puntata) che avrebbero favorito il prevalere negli ascolti delle reti Mediaset, specie in una fascia, quella di ‘access’ dove si fanno i grossi giochi della raccolta pubblicitaria.

Se l’avvicendamento riuscirà (il Sovrintendente uscente del San Carlo di Napoli, Lissner, ha già annunciato ricorso contro una sua eventuale rimozione ex lege) però, la cavalcata di ingresso del Governo a viale Mazzini conoscerà difficoltà e tentazioni da scansare. Infatti, risolto il nodo Day Time, corazzata di programmi giornalieri che ‘pettinano’ il ventre molle degli italiani, con la promozione a Direttore dell’attuale vice, Angelo Mellone (che avrebbe preferito la Fiction, capace di indirizzare come nient’altro la prua valoriale che si propone alla Nazione, ma anche processo produttivo lento, che richiede tempo per cambiare direzione alla barca), nascerà la tentazione, pericolosa visti i precedenti, e in termini di risultato da eguagliare, di sostituire alcuni conduttori ritenuti non allineati (anzitutto Serena Bortone e Monica Giandotti).

Infine, arriverà al pettine il nodo Tg, da sempre pallino della politica, anche se tutti dimenticano di aver vinto le elezioni senza averli dalla propria parte, e di aver poi perso le elezioni avendoli, sulla carta, a favore. Qui il problema è tutto politico e tutto nel centrodestra. Con Fratelli d’Italia che per il Tg1 inizialmente aveva puntato sul direttore di Adnkronos, Gianmarco Chiocci, cui tutti riconoscono caratura professionale: dal centrodestra, fino a Pd e Giuseppe Conte (persino l’Usigrai farebbe fatica a cannoneggiarlo). Ma Chiocci è un esterno -dicono, anche nello stesso centrodestra, i suoi avversari, che temono possa, da direttore Tg1, diventare interlocutore troppo forte della Premier Meloni-, e Forza Italia preme per ottenere il Tg2 (destinatario Antonio Preziosi), oggi sotto la guida di Nicola Rao (subentrato a ottobre, in quota Fratelli d’Italia, a Gennaro Sangiuliano diventato Ministro della Cultura). Dove spostare l’attuale direttore del Tg2, allora, se non al Tg1, tagliando la strada proprio a Chiocci? E come accontentare la Lega? Un rebus che fino a poche settimane fa si credeva sarebbe stato Carlo Fuortes a gestire, lasciando a Giorgia Meloni la possibilità di vantarsi di non aver messo le mani sulla Rai. La cosa deve aver smesso di interessare… e via, al galoppo..!

Signor Concierge

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