Ottantasette spie in piena attività, miliardi di euro investiti e transitati dai paradisi fiscali, una inestricabile tela di ragno fatta di relazioni e affari trasversali a qualsiasi colore politico. Benvenuti a ItalyGrad, accogliente paradiso e terra di conquista del potere russo. A schiudere la porta su questo panorama è un libro appena uscito firmato da due “pistaroli”, come si diceva un tempo in cui il giornalismo era scavo e non solletico, Gianluca Paolucci e Jacopo Iacoboni. Oligarchi è una lettura lisergica, un documento che in un immaginario “ritorno al futuro” avremmo potuto trovare in mezzo alle macerie del Muro di Berlino come un messaggio in bottiglia, “torneremo presto”.

Oligarchi racconta come l’Italia sia diventata l’outlet del potere putiniano, conquistando anime e cose come nemmeno il più spietato degli stalinisti ai tempi dell’Urss avrebbe potuto immaginare. Quello che non è mai riuscito al comunismo sovietico è riuscito ad una banda di Stato che in Italia ha trovato il suo avamposto al sole. Nomi e cognomi, affari e relazioni, alleati e propagande di partito diventate megafoni della paccottiglia reazionaria propagandata dal Cremlino, Oligarchi è il who’s who della più grande operazione di penetrazione russa in Occidente. Due le armi usate: soldi e caos informativo. Di rubli in Italia ne sono sempre corsi a fiumi. Fieri anti-comunisti come Gianni Agnelli e Silvio Berlusconi sono stati interlocutori del bolscevismo affaristico mentre l’ala di Cossutta nel Pci riceveva ancora istruzioni e rubli ma perdeva potere. Romano Prodi ha sempre avuto un occhio di riguardo per le dinamiche moscovite, Putin ne ha sempre rivendicato, con perfidia, l’amicizia. Ma quel fiume di denaro arrivava in una cornice disegnata sulla logica di una geopolitica indiscutibile, quella che fece dire ad Enrico Berlinguer “mi sento più sicuro da questa parte del Muro”. Vladimir Bukovsky sentenziò amaramente, «scaldare il bacon con il gas russo è stato più importante, per molti in Europa, dei diritti umani».

Oggi ci sono oligarchi che finanziano restauri al Comune di Roma e le azioni anti-covid in Sardegna, altri comprano migliaia di ettari tra l’Umbria e la Toscana per costruirvi enclave che godono come un’ambasciata dell’extraterritorialità, intoccabili. Ville dove il “kompromat” è in agguato: ne sa qualcosa il premier inglese Boris Johnson che da ministro degli Esteri nel 2019 seminò la scorta per andare festeggiare nella tenuta dell’oligarca Evghenj Lebedev, figlio della spia Alexander. Da allora qualsiasi suo atto riguardante quella parte di mondo finisce sotto osservazione. Oggi, rivela il volume, ci sono squadre di spie che avvelenano e uccidono oppositori del regime russo a Londra o in Olanda o in Bulgaria e si “riposano” in Italia, come fosse un pit stop sicuro. Poi ci sono diplomatici che pagano ufficiali dell’esercito per farsi consegnare segreti militari, come il caso di Walter Biot. Come siamo arrivati fin qui?

L’Italia è sempre stata un porto franco per 007 di mezzo mondo. Aldo Moro che di spy-story non era a digiuno inventò un protocollo, un lodo che prenderà il suo nome, per evitare che il terrorismo di matrice araba prendesse di mira Roma. Qui però siamo oltre. I soldi russi, provenienti dai paradisi fiscali di mezzo mondo come ricostruiscono Iacoboni e Paolucci, hanno sempre profumato di buono in Italia. Manager e impresari della tv berlusconiana hanno fatto carriera e fortuna in Russia, prima di Putin e con Putin. Ma è la seconda arma che spiega come è stato possibile che l’Italia sia diventata un campo di addestramento per le tecniche di manipolazione made in Mosca: il caos informativo. Dal 2014 il regime moscovita ha investito sulla politica italiana trovando i cantori della sua way of life nella propaganda di Lega e Movimento cinque stelle.

Oligarchi mette una dietro l’altra le tappe di questa “invasione”. Tutto avviene dopo che per anni il web leghista e grillino, con in testa Grillo e Salvini, hanno beatificato Putin, le sue guerre di espansione, gli interventi a favore di Assad e dei signori della guerra in Libia, arrivando persino a deridere le vittime della feroce repressione di regime, come nel caso del primo arresto di Navalny. Putin diventa l’interlocutore privilegiato del primo governo sovranista ma anche dalla sua versione “moderata” del Conte 2. Da cui riceve nell’ordine svariati regali politico-diplomatici.
Il rilascio di un manager russo accusato di spionaggio, primo regalo, per il quale l’allora Guardasigilli Bonafede rifiuta l’estradizione negli Usa e la concede a Mosca. Secondo regalo, l’incredibile parata militare con cui qualche medico e una vagonata di 007 e avvelenatori di civili siriani si recano in corteo da Roma a Bergamo per “studiare il covid e aiutare l’Italia”. E siccome un regime senza propaganda non è tale, la missione viene presentata e fotografata dai media putiniani come “un maglio nel cuore dell’Europa” che non aiuta l’Italia contro il covid. Uno spot agghiacciante.

Terzo regalo, l’inchino di Stato che Conte e il suo governo concedono a Putin e ai suoi oligarchi a Palazzo Chigi nel corso di una cena, roba che De Gasperi non fece nemmeno a Truman di fronte ai miliardi del Piano Marshall. Era il luglio 2019 quando andò in scena un banchetto in cui sfilarono gli uomini del regime alcuni dei quali erano sottoposti a sanzioni e per questo impossibilitati da una norma europea a fare business. Un via libera, semaforo verde per ogni tipo di attività sul territorio italiano. Quarto regalo: il disimpegno in Libia seguito subito dopo dall’arrivo dei mercenari russi e turchi. Quinto regalo: l’aver abilmente occultato un voluminoso report degli apparati italiani – ricostruito minuziosamente dagli autori – dove si racconta “l’outlet Italia”. E già questo vale il prezzo del biglietto per questo viaggio in un paese invisibile ai più eppure così reale, Italygrad.