A nove giorni dal voto il figlio del fondatore del M5S entra in campagna elettorale di peso. Con un video accorato, non brevissimo, si rivolge ai suoi amici e sostenitori. Compare in camicia bianca, il tono grave, gli occhi sulla telecamera e le parole scandite una a una. Le polemiche sui soldi russi ai partiti hanno infiammato il dibattito e riportato sulla breccia, a margine, anche le voci sulla presunta donazione di 3,5 milioni di euro dal Venezuela.

Casaleggio tira in ballo i servizi segreti italiani, all’epoca rappresentanti dal direttore generale del Dis, Gennaro Vecchione. Dice che il 27 aprile 2019 gli agenti della nostra intelligence avrebbero consegnato all’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, l’informativa che anticipava “le infamanti accuse”, come le chiama Davide Casaleggio, indirizzate contro suo padre. La colpa di Conte? Aver tenuto il dossier in un cassetto “senza fare niente”. Verbalizzo qui parola per parola: “Devo raccontarvi un fatto grave, il “caso Venezuela”. Un’infamia che è stata condotta contro mio padre. Bene, in questi anni ho condotto diverse ricerche e questo mi ha permesso di farmi un’idea di cosa sia successo. E anche di quali sono gli attori che sono stati coinvolti in questa vicenda. Anche i servizi segreti italiani, anche persone nel Governo italiano sono state coinvolte in questa vicenda”. Ricostruiamo: a monte c’erano le dichiarazioni dell’ex capo dei servizi segreti venezuelani, Hugo Armando Carvajal, detto “El Pollo”, ex capo dei servizi segreti militari del governo di Caracas.

El Pollo avrebbe riferito che nel 2010 il console venezuelano a Milano, Gian Carlo Di Martino, si recò in veste di intermediario negli uffici della Casaleggio per consegnare una valigetta contenente tre milioni e mezzo di euro. Denaro funzionale alla causa di una migliore reputazione presso l’opinione pubblica italiana del Venezuela di Chàvez, cui succederà nel 2013 Nicolas Maduro. Pratica attuata, secondo le ipotesi, in Spagna e in Francia oltre che in Italia. Tanto che è a Madrid che il caso prende piede. Il giornalista Marcos Garcìa Rey, del quotidiano conservatore ABC, racconta la vicenda e viene querelato da Davide Casaleggio. Il giudizio è ancora pendente. Così come l’inchiesta della magistratura milanese che indaga per appurare se si trattò di corruzione o meno, mentre il reato – ipoteticamente commesso nel 2010 – è comunque prescritto. Negli ultimi giorni la vicenda ha fatto risuonare qua e là qualche eco. Debora Serracchiani, capogruppo Pd alla Camera, era ospite degli studi tv de La7 quando ha commentato le voci sui dossier americani: “Mi sembra di ricordare che anche il Venezuela ha pagato il M5S, se non ricordo male”. È insorto Alessandro Di Battista, ospite collegato da casa: “Spero che Casaleggio la quereli”. Da Giuseppe Conte nessuna replica. Figurarsi se il nuovo Conte si va ad arrovellare nel botta e risposta con Davide. E poi cosa potrebbe rispondere a Casaleggio? Gennaro Vecchione avrebbe ricevuto le informazioni sulla presunta tangente dai suoi uffici e le avrebbe girate a Conte.

“Gli arrivò l’informativa e fece finta di niente, la mise in un cassetto”, l’accusa del titolare della Casaleggio Associati. Che insiste: “Tra l’altro prima della pubblicazione (su ABC, ndr) i servizi segreti italiani con in mano questo documento vanno da Giuseppe Conte. Vista la gravità del fatto denunciato dal documento, lo sottopongono per una sua valutazione. Quello che è stato fatto? Nulla. Non si fece né un’indagine su un fatto che effettivamente poteva essere molto grave, parliamo di corruzione, riciclaggio, cercare di pagare una forza politica per indurre il Governo a fare qualcosa per un Paese straniero. È qualcosa di molto grave – prosegue il presidente dell’Associazione Rousseau – ma il Presidente del Consiglio al tempo non fece nulla”. Così come non fece nulla neanche nell’altro senso. “Se pensava che questo documento fosse falso, era una chiara calunnia. Un tentativo di calunnia perché al tempo il documento era segreto, ma non fece nulla neanche quando questo documento uscì sui giornali”. Suona tanto singolare, intempestiva, esorbitante questa intemerata tutta rivolta contro Conte, da essere rivelatoria di un clima, tra ex compagni del Movimento, diventato ormai di guerra.

L’accusa, neanche tanto velata, è che il dossier contro suo padre sarebbe rimasto custodito nei cassetti dell’allora premier quasi come un’arma di ricatto. E Casaleggio va oltre, trovando nella coincidenza tra le date della vicenda un sinistro incedere: “Proprio in quei momenti si decideva la successione come capo politico. Io suggerii una lista tra più competitor, ma sui giornali si provò a fare scandalo infamando mio padre”, ricostruisce Davide. Il rinnovamento interno sarebbe stato inficiato da una macchina del fango alla quale Conte non sarebbe stato estraneo, si evince tra le pieghe del ragionamento. Conte sta facendo la miglior campagna che un populista potesse fare. Sta risalendo nei sondaggi, mandando in soffitta definitivamente le speranze di chi ambiva a riprendere in mano i Cinque Stelle. Beppe Grillo tace e si nega. Davanti alle richieste di interviste, continua a tacere. Per la prima volta in una campagna elettorale in venti anni la sua voce manca dalle piazze. Quella di Bonafede, Toninelli, Lezzi è totalmente silenziata. Ed è muta da un mese l’ex sindaca di Roma, Virginia Raggi, che qualcuno aveva indicato come possibile sfidante alla successione al trono di Conte. Se avesse perso le elezioni.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.