“La situazione a Mariupol è sia militarmente terribile che straziante. La città non esiste più. Quel che resta dell’esercito ucraino e un folto gruppo di civili sono fondamentalmente circondati dalle forze russe. Continuano la loro lotta, ma dal modo in cui l’esercito russo si comporta sembra che abbiano deciso di radere al suolo la città a ogni costo“. Con queste parole il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, intervistato da Cbs ha descritto la drammatica situazione della cittadina portuale martire di questa guerra. Ma perché Mariupol è così importante per i russi?

Nel giorno di Pasqua sembrava che le sorti della città fossero decise e che fosse caduta definitivamente in mano ai russi. Poi la smentita ucraina secondo cui la città di Mariupol non è “ancora caduta” perchè i soldati che la difendono “combatteranno fino alla fine”, ha detto il premier ucraino, Denys Smihal in un’intervista all’Abc. “Nessuna grande città dell’Ucraina è sotto il controllo della Russia, solo Kherson”, ha detto ancora il premier ucraino all’Abc, sottolineando che a Mariupol c’è “una vera catastrofe umanitaria con 100.000 persone senza acqua e cibo da 40 giorni“.

Non è la prima volta che i russi annunciano di aver definitivamente preso la città che invece sembra resistere strenuamente. L’ultimatum russo, che scadeva all’alba, è stato respinto. Gli ultimi difensori di Mariupol – non più di 1.500 secondo i russi, il doppio secondo fonti ucraine – rimangono asserragliati nell’acciaieria Azovstal, ultimo bastione di resistenza nella strategica città portuale, ridotta in macerie da settimane d’assedio. Ora Mosca ha annunciato che eliminerà i superstiti, un contingente composto dai sopravvissuti della trentaseiesima brigata di fanteria marina, militi della guardia nazionale, volontari stranieri, residui di brigate motorizzate e combattenti del reggimento Azov, il famigerato battaglione nazionalista che il Cremlino evoca spesso quando si appella all’obiettivo di “denazificare” l’Ucraina.

In risposta alle minacce Zelensky ha risposto che dovessero morire gli uomini asserragliati nei tunnel sotterranei delle acciaierie Azovstal, non ci saranno più negoziati pace. Per i russi, in ogni caso, la conquista di Mariupol sarà la prima vittoria ottenuta nel corso dell’operazione militare “speciale” ordinata da Vladimir Putin. La città è infatti un punto geografico, politico ed economico particolarmente rilevante per Putin. Gli permetterebbe infatti di aprire un passaggio via terra fra la Crimea, annessa militarmente nel 2014, e il Donbass, per lo più controllato dai separatisti filorussi, e quindi alla madre patria.

Dopo l’annessione, la penisola era collegata infatti soltanto attraverso un ponte costruito sullo stretto di Kerch dall’oligarca Arkadij Rotenberg, compagno di judo di Putin e suo stretto confidente, costato quasi 3 miliardi di euro. La conquista di Mariupol avrebbe quindi un’importanza strategica fondamentale, e soprattutto darebbe ai russi il controllo del Mar d’Azov e dell’80% della costa ucraina del Mar Nero, limitando enormemente il commercio marittimo di Kiev.

Per questo motivo la città è stata martirizzata da continui attacchi dall’inizio dell’invasione ed ora è distrutta per il 90%. Un assedio che secondo alcune stime avrebbe provocato oltre 20mila vittime. Chi si è salvato, circa 200 mila persone sarebbero ancora bloccate in città, è rimasto comunque senza acqua, elettricità, cibo e medicine già dai primi giorni dell’offensiva, impossibilitato a fuggire perché i russi negavano i corridoi umanitari, oppure li bombardavano. Una violenza che continua a colpire indistintamente obiettivi civili e militari.

Le intenzioni dei russi sembrano quelle di voler continuare a colpire Mariupol fino alla resa. Le truppe lì stanziate poi potrebbero essere trasferite su altri fronti a est, dove potrebbero servire a circondare e distruggere le forze armate ucraine che combattono contro i separatisti del Donbass; a ovest, per conquistare Odessa, l’ultima roccaforte ucraina sul Mar Nero; oppure a nordovest, verso Dnipro.

La perdita di Mariupol sarebbe anche una grave perdita per l’Ucraina dal punto di vista economico. Qui ha sede l’Azovstal, il polo siderurgico bombardato a metà marzo e già colpito dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale, e dal grande porto cittadino partivano i carichi di acciaio, carbone e granturco diretti in Medio Oriente. I russi cercavano di conquistarla da 8 anni, e per questo l’hanno colpita con crudeltà. La caduta della città, oltretutto, offre anche una grande opportunità di propaganda: a Mariupol ha sede il reggimento ultranazionalista Azov, i cui membri sono accusati dai russi di essere neonazisti e la cui cattura, da vivi o da morti, sarà celebrata sui media di Stato russi.

A questo si aggiunge che dopo la perdita della Moskva, per i russi la presa di Mariupol potrebbe dare un nuovo slancio alle truppe di Putin. I russi hanno già più volte dato come data di fine della guerra il 9 maggio, giorno in cui in Russia si festeggia la Festa della Vittoria, ovvero la sconfitta del nazismo. Per la propaganda una data chiave per poter rivendicare anche la “liberazione” del Donbass. In questo contesto la via di un accordo per la pace sembra allontanarsi sempre di più. “Dopo Bucha, è diventato particolarmente difficile parlare con i russi. Ma, come ha detto il presidente” Zelensky, “Mariupol potrebbe essere una linea rossa” perché le azioni delle forze russe potrebbero portare a metter fine agli sforzi per raggiungere la pace attraverso i negoziati. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, intervistato da Cbs.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.